Giudicando evidentemente la categoria in ascesa nei gradimenti televisivi, il nostro servizio televisivo pubblico, per definizione la maggiore impresa culturale del paese, la RAI, non ha pensato niente di più originale che continuare una battaglia a colpi di botta e risposta con la concorrenza Mediaset, nel campo dei Reality Show. In questa gara ad offrirci il maggior pluralismo ad alto livello culturale, dopo case, isole e penisole, avremo anche la risposta pubblica alla fattoria: la transumanza.
Forse comprato come format straniero come gli altri, o frutto di pura inventiva italica, prenderà il via dal 17 al 23 maggio nell'appennino tosco romagnolo questa singolare manifestazione sospesa tra gioco di ruolo e documentario. Un gruppo umano pescato dalla ormai ben definita categoria delle riserve dello spettacolo e affini, si incaricherà di condurre un gruppo di animali non precisati, (mucche, pecore, capre?) in una delle attività che più si è legata alla storia sociale e culturale dell'uomo degli ultimi diecimila anni: la transumanza stagionale. Il percorso, eseguito a cavallo, prenderà il via da Firenzuola, e passando per Badia di Moscheta, risalirà il crinale fino ad arrivare a Palazzuolo sul Senio, dove sarà accolto da una rievocazione medievale messa in piedi per l'occasione. Devo dire che la cosa onestamente mi stimola molti punti di riflessione. In modo particolare come antropologo e realizzatore di uno specifico museo dedicato alla pastorizia intesa come insieme complesso di strutture socio culturali, devo ammettere di sentirmi punto nel vivo. Ma vorrei provare ad analizzare più nel profondo il fenomeno. Da una parte ci sono i molti punti di incoerenza storica. Dovremo infatti assistere ad una particolare lettura fotogenica della transumanza, una modulazione che consegna al nostro immaginario l'idea di un singolare pastore cow boy, pura chimera televisiva, lontana tanto dai butteri maremmani quanto dai pastori appenninici, che le transumanze le facevano a piedi anche tra l'Abruzzo ed il Salento. Un pastore, che in un territorio montano dove l'importanza di tale pratica è stata minoritaria, mi richiama invece alla mente un film di qualche anno addietro, dal titolo 'l'amore, l'avventura e le vacche”, o qualcosa del genere. Film dove il protagonista, partecipando ad una vacanza avventura tra i ranch americani, riscopriva il senso della vita partecipando ad uno spostamento di bestiame. Forse in questo caso i nostri protagonisti riscopriranno il sapore della fama. D'altra parte, il problema è che questa realtà romanzata sarebbe il minimo e potrebbe restare puro svago, se non aspirasse in parte a sostituirsi alla realtà ed alla memoria. La parola ‘,reality', nel campo degli spettacoli televisivi, gioca in modo ambiguo con la realtà ed i suoi molteplici piani: realtà come mancanza di copione, realtà delle sofferenze o scomodità o pericoli, realtà emotiva, realtà delle ambientazioni, realtà delle ricostruzioni storiche. Invece di operare una distinzione di questi aspetti intrecciati tra loro nell'evento, ammicca ad una loro presunta unica realtà, volendo dare l'impressione, affermandolo e negandolo al medesimo tempo, di poter assistere a qualcosa che documenta una performance - verità tout court.
Mi spiego, il territorio italiano è stato per secoli, ben prima di definirsi come stato, uno spazio dove convivevano in complessa simbiosi strutture sociali a base agricola e strutture a base pastorale, in una modulazione di adattamenti che ha creato la molteplicità di paesaggi e ambiti abitativi che tanto oggi decantiamo come valore aggiunto del sistema italia. Tutti noi italiani proveniamo in modo diretto o indiretto dal complesso definito come società agro-silvo-pastorale. Questo stato di cose, ovviamente in continuo mutamento diacronico e sincronico, ha subito in Italia nel secondo dopoguerra una lacerazione netta come non è successo in nessun altro paese europeo. Per complessi motivi storici abbiamo subito una sorta di vero e proprio strappo culturale, frutto di una scorretta politica di modernizzazione che ha associato il progresso al ripudio del passato e della memoria. Invece di migliorare le condizioni di vita di quella parte di italiani che pastori lo erano, si è preferito l'abbandono delle montagne, delle campagne, il degrado idrogeologico e lo spopolamento di intere aree. Ma se queste sono cose passate, non lo sono, come i ‘,reality' vorrebbero farci credere le attività agropastorali, sebbene rappresentino una componente minoritaria, i pastori, che beninteso non sono un gruppo etnico, ma la risposta ad una precisa strategia socio-economica, continuano ogni anno a muovere animali dalle pianure ai pascoli montani, a piedi ed in autocarro, in transumanze orizzontali di lunga distanza, o in transumanze verticali dalle valli alle cime montane. Come in passato devono inserirsi e lottare all'interno di complessi vincoli amministrativi, per il transito, l'affitto dei pascoli, i controlli sanitari, ed ultime arrivate con le miopi norme europee in fatto di caseificazione, che hanno costretto negli ultimi anni molti piccoli produttore locali a smettere una attività familiare che avrebbero volentieri portato avanti. Ma tiriamo le somme del discorso, porre come nel caso della ‘,fattoria' l'accento sulla presunta ricostruzione storica, sulla diretta dal 1870, sull'associazione biunivoca tra scomodità, modelli di sussistenza e periodo storico, porta indubbiamente ad una lettura evoluzionistica della storia che poco ha a che fare con la realtà. Un modello che porta a leggere attività e strategie di sopravvivenza come arcaiche e superate, anzi defunte. Se l'appropriazione di una memoria collettiva nel segno dello spettacolo appare come una operazione di dubbia morale, la sua sostituzione, o innesto, in uno strappo generazionale appare come azione di pura mistificazione. Proporre una confusione di tempi dove l'attività pastorale si fonde con le ricostruzioni medievali e dove ci si sposta a cavallo per pubblicizzare percorsi e turismo equestre, è senza dubbio una maldestra operazione turistica. I luoghi naturali ed antropici che saranno attraversati sono di indubbio interesse, possiedono meravigliose attrattive naturalistiche, storiche ed artistiche. Solo per fare alcuni esempi nell'ambito delle offerte culturali che testimoniano il rapporto di simbiosi tra aspetti naturalistici ed attività antropiche, a Firenzuola troviamo un nuovo museo sulla tradizionale lavorazione della pietra serena, a Badia di Moscheta un museo traccia la storia del paesaggio dell'Appennino, a Palazzuolo sul Senio un museo che contestualmente ci potrebbe portare nel mondo storico dei gruppi umani stanziati negli alti crinali appenninici come particolare forma di adattamento. Ho paura purtroppo che tutte queste preziose testimonianze di memoria e realtà, vadano sfumandosi e perdendosi con molta facilità sotto le luci e le invisibili telecamere del reality, consegnandoci in cambio una memoria nuova. Una memoria collettiva nazionale che va a colmare un vuoto, e grazie alla quale tutti potranno dire di aver assistito ad una vera transumanza. Una memoria che trasforma i problemi e le difficoltà delle pratiche pastorali, in qualcosa di simile ad un parco a tema, una finta avventura nella ‘,natura selvaggia', qualcosa che ha il sapore di arcaico, primordiale, ma vero, un po' come piace oggi pensare la natura e la naturalità.
La concezione mentale del pastore e della pastorizia, (da parte di chi pastore non era) è probabilmente tra gli orizzonti di immaginario storicamente più saccheggiati e mistificati dai gruppi che hanno detenuto a diverso livello il potere d'informare e diffondere immagini e stereotipi. Di volta in volta, essere marginale, selvatico, quasi un satiro, simbolo di purezza meritorio di essere visitato dalla grazia divina, o testimone per prodotti sani e naturali, sopravviverà probabilmente anche alla sua goffa spettacolarizzazione, alla sua trasfigurazione in una sorta di esploratore a cavallo dell'antropico paesaggio appenninico trasformato per l'occasione in foresta. E' bene però ricordare che i pastori esistono ancora in Italia, come esistono ancora molti punti critici da affrontare in ambito legislativo per cercare di conciliare e concertare queste strategie economiche con le altre che i tempi moderni ci hanno portato e purtroppo non credo che questo sia il modo migliore per dare voce e costituire un memoria collettiva e nazionale su questa parte della nostra società come si trattasse di un vezzo pittoresco, o di una maschera con la quale giocare l'ennesimo spettacolo.
Andrea Benassi
Mi spiego, il territorio italiano è stato per secoli, ben prima di definirsi come stato, uno spazio dove convivevano in complessa simbiosi strutture sociali a base agricola e strutture a base pastorale, in una modulazione di adattamenti che ha creato la molteplicità di paesaggi e ambiti abitativi che tanto oggi decantiamo come valore aggiunto del sistema italia. Tutti noi italiani proveniamo in modo diretto o indiretto dal complesso definito come società agro-silvo-pastorale. Questo stato di cose, ovviamente in continuo mutamento diacronico e sincronico, ha subito in Italia nel secondo dopoguerra una lacerazione netta come non è successo in nessun altro paese europeo. Per complessi motivi storici abbiamo subito una sorta di vero e proprio strappo culturale, frutto di una scorretta politica di modernizzazione che ha associato il progresso al ripudio del passato e della memoria. Invece di migliorare le condizioni di vita di quella parte di italiani che pastori lo erano, si è preferito l'abbandono delle montagne, delle campagne, il degrado idrogeologico e lo spopolamento di intere aree. Ma se queste sono cose passate, non lo sono, come i ‘,reality' vorrebbero farci credere le attività agropastorali, sebbene rappresentino una componente minoritaria, i pastori, che beninteso non sono un gruppo etnico, ma la risposta ad una precisa strategia socio-economica, continuano ogni anno a muovere animali dalle pianure ai pascoli montani, a piedi ed in autocarro, in transumanze orizzontali di lunga distanza, o in transumanze verticali dalle valli alle cime montane. Come in passato devono inserirsi e lottare all'interno di complessi vincoli amministrativi, per il transito, l'affitto dei pascoli, i controlli sanitari, ed ultime arrivate con le miopi norme europee in fatto di caseificazione, che hanno costretto negli ultimi anni molti piccoli produttore locali a smettere una attività familiare che avrebbero volentieri portato avanti. Ma tiriamo le somme del discorso, porre come nel caso della ‘,fattoria' l'accento sulla presunta ricostruzione storica, sulla diretta dal 1870, sull'associazione biunivoca tra scomodità, modelli di sussistenza e periodo storico, porta indubbiamente ad una lettura evoluzionistica della storia che poco ha a che fare con la realtà. Un modello che porta a leggere attività e strategie di sopravvivenza come arcaiche e superate, anzi defunte. Se l'appropriazione di una memoria collettiva nel segno dello spettacolo appare come una operazione di dubbia morale, la sua sostituzione, o innesto, in uno strappo generazionale appare come azione di pura mistificazione. Proporre una confusione di tempi dove l'attività pastorale si fonde con le ricostruzioni medievali e dove ci si sposta a cavallo per pubblicizzare percorsi e turismo equestre, è senza dubbio una maldestra operazione turistica. I luoghi naturali ed antropici che saranno attraversati sono di indubbio interesse, possiedono meravigliose attrattive naturalistiche, storiche ed artistiche. Solo per fare alcuni esempi nell'ambito delle offerte culturali che testimoniano il rapporto di simbiosi tra aspetti naturalistici ed attività antropiche, a Firenzuola troviamo un nuovo museo sulla tradizionale lavorazione della pietra serena, a Badia di Moscheta un museo traccia la storia del paesaggio dell'Appennino, a Palazzuolo sul Senio un museo che contestualmente ci potrebbe portare nel mondo storico dei gruppi umani stanziati negli alti crinali appenninici come particolare forma di adattamento. Ho paura purtroppo che tutte queste preziose testimonianze di memoria e realtà, vadano sfumandosi e perdendosi con molta facilità sotto le luci e le invisibili telecamere del reality, consegnandoci in cambio una memoria nuova. Una memoria collettiva nazionale che va a colmare un vuoto, e grazie alla quale tutti potranno dire di aver assistito ad una vera transumanza. Una memoria che trasforma i problemi e le difficoltà delle pratiche pastorali, in qualcosa di simile ad un parco a tema, una finta avventura nella ‘,natura selvaggia', qualcosa che ha il sapore di arcaico, primordiale, ma vero, un po' come piace oggi pensare la natura e la naturalità.
La concezione mentale del pastore e della pastorizia, (da parte di chi pastore non era) è probabilmente tra gli orizzonti di immaginario storicamente più saccheggiati e mistificati dai gruppi che hanno detenuto a diverso livello il potere d'informare e diffondere immagini e stereotipi. Di volta in volta, essere marginale, selvatico, quasi un satiro, simbolo di purezza meritorio di essere visitato dalla grazia divina, o testimone per prodotti sani e naturali, sopravviverà probabilmente anche alla sua goffa spettacolarizzazione, alla sua trasfigurazione in una sorta di esploratore a cavallo dell'antropico paesaggio appenninico trasformato per l'occasione in foresta. E' bene però ricordare che i pastori esistono ancora in Italia, come esistono ancora molti punti critici da affrontare in ambito legislativo per cercare di conciliare e concertare queste strategie economiche con le altre che i tempi moderni ci hanno portato e purtroppo non credo che questo sia il modo migliore per dare voce e costituire un memoria collettiva e nazionale su questa parte della nostra società come si trattasse di un vezzo pittoresco, o di una maschera con la quale giocare l'ennesimo spettacolo.
Andrea Benassi