In questi giorni ricorre il primo anniversario della morte di Don Leo .
Attingendo ai ricordi personali, alle testimonianze degli amici , dei parrocchiani e conoscenti ripercorro alcuni tratti della Sua Vita e sottolineo alcuni aspetti della Sua personalità .
Tutti gli abbiamo voluto bene in vita e lo ricordiamo anche oggi con affetto .
Gli avevo promesso che , se avessi avuto possibilità di farlo , lo avrei ricordato e catalogato tra i benemeriti Sacerdoti di Casola .
La promessa la feci quel giorno in cui Egli si rammarico' di non essere stato citato in un libro di qualche anno fa che ricordava appunto i Preti defunti a Casola dal 1945 in poi.
All'osservazione che , essendo Egli in vita , non né “aveva diritto” , disse tra il serio ed il faceto: “ma quanto credi che campi ancora ? Potevi anticipare !!”.
Forse conosceva già la gravità della malattia che lo aggrediva.
Con queste poche note lo aggiungo quindi ora nella galleria dei Sacerdoti Casolani del dopoguerra.
Forse non riuscirò a descrivere compiutamente Don Leo , le sue doti di umanità, le gesta, anche singolari , derivate dalla Sua spontaneità, la scabrosità di carattere spesso solo esibita , la semplicità dei comportamenti . E nemmeno riuscirò a dare il dovuto risalto alla Sua convinta capacità di essere Pastore tra le persone.
Viveva la sua vita di Apostolo di Gesù con la gente e tra la gente .
Sopratutto coi suoi Parrocchiani condivideva i momenti di gioia o quelli di tristezza .
Non disdegnava neppure di passare qualche ora al Bar con il sigaro acceso a parlare con chi a Lui si avvicinava volentieri per ascoltarlo.
Valorizzava i pregi delle persone ,anche delle più modeste . Mostrava comprensione per i loro difetti senza però trascurare di impartire le correzioni ricorrendo magari a qualche frase dei Vangeli o richiamandosi ad episodi di vita di qualche Santo.
Don Leo era nato a Casola nel 1935 ed in tenera età , assieme a due sorelle , era rimasto orfano di padre, morto in guerra , che non riusci a conoscere , e fu allevato dalla sola mamma Maria , che era l'unica bidella delle Scuole Casolane e quindi impegnata nel lavoro da mattino a sera come usava allora , essendo tra l'altro le aule scolastiche da servire dislocate in varie parti del paese .
Tuttavia , nonostante l'impegno lavorativo , non trascurò mai di essere anche buona madre per i tre figli.
Terminato il ciclo delle scuole elementari , anche su suggerimento dell'Arciprete Don Adamo Peppi, Leopoldo fu avviato al Seminario Diocesano di Imola .
Fu una scelta quasi obbligata non essendoci in famiglia possibilità economiche per fare gli studi in altro modo.
Il piccolo Leopoldo non mostrava allora particolari propensioni al sacerdozio: aveva solo vivacità di carattere , diligenza nello studio e devozione nella funzione di chierichetto.
Raccontava che la vita del Collegio male si adattava al suo carattere che era un po' ribelle alle rigide regole di una Comunità con tanti ragazzi. Ricordava a volte, scherzandoci sopra , i suoi litigi con il Prefetto assistente , con il Rettore o con qualche insegnante eccessivamente pignoli nel pretendere la disciplina .
Era l'immediato dopoguerra e le ristrettezze economiche si riflettevano anche in Seminario .Diceva che non aveva più dimenticato il freddo ai piedi e la fame patiti in quel periodo.
” Ho sofferto una fame che non ho ancora soddisfatto del tutto “ affermava quando si trovava davanti ad una tavola imbandita..
Tuttavia, nonostante i sacrifici , maturò con convinzione la volontà di essere Sacerdote e nel 1962 celebrò la Sua Prima Messa.
Per un breve periodo fu capellano a Riolo, poi inviato a Conselice a collaborarre con l'Arciprete Mons. Don Pietro Mongardi, tuttora vivente e, dopo quarantasette anni , ancora memore della proficua collaborazione avuta con quel giovane prete .
I riolesi, ma sopratutto i Conselicesi, dopo tanti anni coltivavano ancora l'amicizia con don Leo. Spesso lo raggiungevano in Parrocchia a San Ruffillo per stare con Lui qualche ora ed ascoltarne gli insegnamenti ed anche le avventure un po' romanzate di allevatore di animali o quelle di cacciatore .
La Sua prima parte della vita di sacerdote fu dedicata in particolare ai ragazzi ed ai giovani
Per conquistarsi la loro attenzione e fiducia , per essere più convincente nell ' insegnamento religioso , si faceva egli stesso ragazzo organizzando iniziative formative e ludiche in Parrocchia . Ricorreva anche , alla organizzazione di pratiche sportive, alle gite in bicicletta, alla pesca nei canali della Bonifica e ad ogni iniziativa che favorisse aggregazioni .
Egli stesso era un giovane dotato di talento sportivo ed in particolare calcistico che ebbe modo di esibire a più riprese a Conselice ed una volta anche a Casola quando in un torneo amatoriale giocò una partita con la veste talare raccolta alla cintola suscitando l'ammirazione dei tifosi locali.
Queste Sue predisposizioni al gioco del calcio ed alle attività sportive gli servivano oltretutto per portare l'educazione religiosa anche fuori dalla Parrocchia in luoghi ed ambienti che non sempre erano attenti alla voce della Chiesa.
Dopo circa tre anni di capellano a Conselice, nel 1965, fu nominato parroco di San Ruffillo di Casola Valsenio dove si trasferì ricongiungendosi in canonica con la mamma pensionata.
La sua area di missione si ampliò quando fu nominato anche Amministratore Apostolico di Renzuno-Settefonti ed officiante a Mongardino .
In un primo tempo gli mancarono i suoi ragazzi di Conselice , tuttavia non gli mancò il lavoro da compiere in un ambiente diverso, ma altrettanto bisognoso di una buona guida spirituale.
Furono tanti anche gli impegni per riportare a decoro le Chiese affidate alla Sua custodia.Si sobbarcò a notevoli sacrifici economici che tuttavia sopportava volentieri come una missione da compiere .
Ricorreva anche al lavoro manuale pur di compiere le opere murarie e risparmiare spese.
Assieme ad un muratore rischiò la vita per il crollo improvviso di un muro che stavano demolendo.
Disse che la salvezza sua e dell'aiutante fu una grazia ricevuta e per questo dedicò all'evento una targa devozionale visibile anche oggi a Mongardino.
Era felice di servire la Sua Chiesa ed era felice di farlo in zone di montagna dove la fede è vissuta anche attraverso gesti semplici anche a Lui congeniali .
Ogni domenica celebrava Messa nelle tre Chiese che si riempivano di fedeli ai quali per abitudine non dedicava lunghe omelie . Preferiva intrattenersi con loro prima e dopo la Messa .
Ognuno di questi incontri diveniva occasione per divulgare gli insegnamenti del Vangelo e dare consigli per una buona condotta di vita.
Memorabili erano le feste tradizionali dei Santi Patroni . Erano momenti di preghiera e di festa per tutti.In quelle occasioni riusciva a mobilitare oltre ai parrocchiani sempre disponibili a dargli una mano, anche gente esterna alle Parrocchie.
Bisogna anche ricordare le feste da Lui riesumate dalle tradizioni del passato . In particolare quella di San Uberto Patrono del Cacciatore a settembre a Mongardino e quella dell'Ulivo di Santa Croce ai primi di maggio a Settefonti .Su iniziativa di alcune persone amiche , acconsentì che in quella occasione ogni anno si celebrasse una Messa in latino .
Erano occasioni di preghiera di cui andava fiero anche se non accettava riconoscimenti o lodi particolari , perchè riteneva semplicemente doveroso che un parroco dedicasse le sue energie a coinvolgere nelle manifestazioni di fede più gente possibile .
“Sono il Prete più altolocato della Diocesi “, ma aggiungeva , per paura di essere frainteso, che per forza lo era essendo la Chiesa di San Ruffillo collocata ai piedi di Monte Battaglia cioè ad una altitudine di oltre 500 metri .
Era amante della vita agreste e non disdegnava l'allevamento di animali cui accudiva personalmente
La sua passione era però la caccia.
“Sono lo Zidane dei cacciatori”
Ricorrendo a questa similitudine con un grande del calcio, intendeva sottolineare la sua abilità di seguace di Diana. Conosceva come pochi il territorio ed i rifugi della selvaggina . Dove cacciava Lui non c'era penna per altri.
Di questo andò fiero finchè non fu costretto dall'età ad un tipo di caccia più comodo.
Una caccia da appostamento che gli costò anche un grave infortunio invalidante ad una mano che lo fece molto soffrire.
Il fatto ebbe grande risonanza mediatica , ma Lui lo visse come sfregio alla sua immagine di cacciatore.
Tra le storie di caccia che raccontava c'era anche quella dell'incontro con un lupo che disse di avere allontanato guardandogli intensamente negli occhi e digrignando i denti a mò di minaccia.
Don Leo dunque era un prete fatto a suo modo, un po' singolare nei comportamenti , ma ricco di una umanità che sapeva esprimere in ogni occasione magari in modo fintamente brusco .
Oltre ad essere devoto custode delle Chiese affidate alle sue cure, era portatore esemplare , in ogni luogo , del messaggio cristiano della speranza .
La Sua vita di sacerdote ,ovunque si sia svolta , ha lasciato un segno positivo .
Qualcuno potrà obiettare che in questa sua missione non si è dedicato troppo agli studi teologici o ad approfondire le grandi domande che pone la fede e che interrogano sempre i cattolici ed impegnano i Dottori della Chiesa e tutti coloro che sono alla ricerca delle risposte al perchè essere cattolici e Cristiani.
Ha preferito trasmettere le sue convinzioni e le sue certezze di fede facendo Lui stesso da esempio con la semplicita' della sua vita ed appellandosi al cuore della gente comune.
Ne sono testimoni i suoi parrocchiani che lo ricordano e lo rimpiangono e sono impegnati a tenerne vive le opere e non disperderne gli insegnamenti.
g.giacometti