25 giorni di marcia solitaria lungo i quasi 800 km del Cammino di Santiago

Nell’anno ’44 in Palestina l’apostolo San Giacomo, fratello di Giovanni, morì martire decapitato per ordine di re Erode. I suoi discepoli, raccolte le sue spoglie, le imbalsamarono, le caricarono su una nave nel porto di Jaffa e le trasportarono nel nord della Spagna sbarcandole a Iria Flavia, un porto sulle sponde dell’Atlantico, e seppellendole in un luogo a circa 40 km dal mare. Tutto ciò, come era consuetudine, per ricordare l’azione evangelizzatrice e missionaria svolta in terra Iberica dal santo Apostolo.
In quel luogo le spoglie dell’apostolo martire riposarono dimenticate per otto secoli finché, fra gli anni 812 e 814 (pochi anni dopo l’incoronazione di Carlo Magno), sotto il regno di Alfonso II il Casto, la sua tomba fu rinvenuta da un certo Pelayo che fu attirato sul posto da una straordinaria caduta di stelle. Da questo strano fenomeno la località fu chiamata “Campo della stella” da cui in seguito per abbreviazione “Compostella”. La tomba del santo fu riconosciuta come autentica dal vescovo del luogo Teodomiro.
Sull’onda della notizia di quel rinvenimento si sviluppò rapidamente da tutta l’Europa un flusso di pellegrinaggi verso il Campo della stella che nei secoli successivi raggiunse dimensioni imponenti, tanto che in diverse occasioni si dovettero emettere ordinanze che regolavano il passaggio in andata e ritorno in alcuni punti strategici e di incrocio del transito pellegrino.
Sul luogo del Campo della stella nacque ben presto una città fiorente con un grande duomo “San Giacomo del campo della stella” in spagnolo “Santiago di Compostella”.
La notizia del ritrovamento galvanizzò anche i regni cristiani del nord della Spagna che avevano resistito all’invasione araba e che, proprio a partire dalla linea seguita dal percorso dei pellegrini, iniziarono la riconquista della penisola Iberica. Qualcuno ricorderà a tal proposito le gesta del Cid Campeador.
Ancora oggi il pellegrinaggio a Santiago di Compostella è uno più suggestivi e frequentati di tutta la cristianità e la città, intitolata al santo apostolo, è divenuta uno dei tre luoghi santi, assieme a Gerusalemme e Roma, verso cui si indirizza maggiormente la devozione itinerante dei credenti.
Quasi tutti gli itinerari seguiti dai pellegrini provenienti dall’Europa confluivano, e confluiscono ancora oggi, all’altezza della località di Puente la Reina, in un unico percorso che ha assunto il nome di “Camino di Santiago” e che raggiunge la meta agognata attraversando da est ad ovest la Navarra, la Castilla-Leon e la Galizia nel nord della Spagna, toccando le città di Pamplona, Estella, Logrogno, Burgos, Fromista, Leon, Astorga, Ponteferrada, Portomarin e Melide.
Il nostro concittadino ed amico Alessandro Righini, coronando un sogno accarezzato da diversi anni, lo scorso 28 luglio ha portato a termine in 25 giorni, a piedi ed in solitaria, il lungo pellegrinaggio sul Cammino di Santiago (circa 800 km) iniziato il giorno 4 luglio dalla località di Saint Jean Pied de Port ai piedi dei Pirenei francesi.
Alessandro aveva già compiuto il pellegrinaggio in bicicletta nel 1994 sullo stesso percorso, impiegando dodici o tredici giorni in compagnia di Elena Samorì e Sandra Landi che seguiva i ciclisti con un pulmino d’appoggio e, proprio da quell’esperienza, era tornato ripromettendosi di ripeterlo prima o poi nella maniera classica e cioè a piedi.
Partito da Casola il 2 luglio in macchina, accompagnato dalla moglie Rita e da Sandra Landi, ha raggiunto Nizza, da qui con un treno notturno, attraversando tutta la Francia, è giunto il 3 luglio alla cittadina di Saint Jean precedentemente ricordata, da cui il giorno seguente ha iniziato il percorso a piedi.
Prima tappa il mitico passo di Roncisvalle, teatro delle gesta e della eroica morte del paladino Orlando. Dopo due giorni di su e giù per le balze della Navarra, l’arrivo a Pamplona giusto in tempo per incappare nella bolgia festaiola della feria di San Firmin, con i tori che mordono il freno dietro i recinti per la corsa cittadina del giorno dopo e la gente vestita di bianco e fasce rosse che intanto impazzisce bevendo, mangiando e combinandone di tutti i colori.
E così via il viaggio prosegue attraverso il passaggio del suggestivo Puente de La Reina, le città medioevali di Estella, Viana, Logrogno, Santo Domingo de la Calzada, con le sue galline nel duomo, per arrivare alla magnificenza della cattedrale di Burgos.
Da qui inizia l’infinita distesa gialla ed assolata dei campi di grano dell’altopiano delle mesetas, con un alberello ogni 3 km quando va bene, con i paesini che ricordano tanto i villaggi messicani dei western alla Sergio Leone e i campanili a vela che ospitano i grandi nidi delle gru.
Sempre camminando sulla meseta si giunge al magico passaggio sotto gli archi dell’antico convento di San Anton, alla romanica chiesetta di San Martin a Fromista, al campanile traforato del duomo di Sahagun e alla gloria della cattedrale della fiera città di Leon.
Passo dopo passo, sempre seguendo les flecias amarillas (frecce gialle) che indicano puntuali e preziose il percorso, ecco l’arrivo al grande puente del Paso Honroso a Ospital de Orbigo dove nel secolo XV il nobile cavaliere don Suero de Quinones, scornato per essere stato rifiutato dalla sua dama, pensò bene di farsi passare le depressione sfidando a duello tutti i cavalieri che volevano passare il ponte dando così vita ad un carosello di “giostre” divenuto leggendario.
Poi, attraversata la romana e nobile Astorga, ecco avvicinarsi la Galizia con il paesaggio che comincia a diventare più verde, montagnoso e boschivo.
Il monte de la Cruz de Hierro (la croce di ferro) dopo l’antico villaggio gaelico di Foncebadòn, dove nel secolo X si tenne pure un Concilio, si raggiunge dopo una dura salita.
Ai piedi della croce di ferro la montagnetta dei sassi portati dai pellegrini secondo un antico rito penitenziale. Scendendo per un ripido, lungo e scosceso sentiero – che mette a dura prova il carrellino che Alessandro ha progettato e si è fatto appositamente costruire nelle officine Lasifaber ex Ferromax e Fabbri Elio per poter trasportare in questo viaggio uno zaino di circa 17 o 18 kg – si arriva sulle amene sponde del rio Meruelo a Molinaseca e dopo poco all’antica città industriale (già i romani sfruttavano le sue miniere) di Ponteferrada, con il bellissimo castello dei cavalieri Templari ed un interessante centro storico.
Il viaggio prosegue da Ponteferrada a Villafranca del Bierzo attraversando una zona ricchissima di vigneti e di qui, via via salendo per la più dura salita del Cammino, verso O’ Cebreiro, un villaggio gaelico-celtico con la chiesetta in cui si verificò il miracolo del sanguinamento dell’ostia consacrata. A 1337 metri s.l.m., dopo l’Alto de San Roque con la suggestiva statua bronzea del santo pellegrino, ecco l’Alto do Poio, il passo più alto del Cammino.
A questo punto si è già in piena Galizia e si scende verso l’imponente Monastero benedettino di Samos e la vivace cittadina di Sarria. Avanti, avanti, attraverso i boschi di eucalipti e di quercia, dopo il gran lago dell’invaso di Portomarin e la cittadina di Melide, ecco l’Alto del Gozo da dove, per la prima volta, si vedono le guglie del duomo di Santiago. Poi finalmente l’agognata città ed il portico della Gloria all’ingresso del fantastico duomo che custodisce la tomba dell’Apostolo e dove ogni giorno viene celebrata l’affollatissima Santa Messa del Pellegrino che, nelle occasioni importanti, culmina con la cerimonia del Butafumeiro, l’enorme incensiere che viene fatto oscillare fino alle volte del tetto della chiesa per rendere omaggio al Santissimo ed effondere il soave odore fra le navate.
Abbiamo chiesto ad Alessandro di sintetizzare in poche frasi le sue impressioni ed il succo della sua esperienza soprattutto in relazione alla sua condizione di pellegrino solitario ed ecco qui di seguito riportato quanto gentilmente ci ha raccontato.

- “Era una esperienza che dovevo assolutamente compiere e che mi rodeva dentro da tanti anni, da quando, 13 anni fa, tornai a casa dopo aver percorso lo stesso Cammino in bicicletta in compagnia di Elena Samorì con il prezioso appoggio di Sandra Landi che ci seguiva in pulmino.
Nel frattempo sono andato e tornato in pellegrinaggio a Roma, sempre in bicicletta, nel 1995, poi sono andato pellegrino a piedi a Roma in occasione del Giubileo del 2000 assieme all’amico Franco Tronconi ed altri amici imolesi, scortato da Remo Cavina che ci seguiva fedelmente in auto, senza contare i pellegrinaggi annuali che, ininterrottamente dal 1981, compio assieme all’arciprete e ad un centinaio di pellegrini di Casola e della nostra diocesi al santuario di Boccadirio, oltre alle personali puntate verso i diversi santuari della regione.
Ma quello verso Santiago, sia per la spiritualità che esprime, sottolineata anche da una grande mole di contributi letterari religiosi, mistici o più generalmente misterici, sia per la distanza da percorrere, sia per la suggestione delle terre da attraversare, sia per la storia che nei secoli si è stratificata in quei luoghi, è un pellegrinaggio che suscita suggestioni del tutto speciali. E’ una impresa avvincente e affascinante.
Dopo averne dovuto rimandare il compimento per diversi anni a causa degli impegni di lavoro e familiari o a causa di problemi di salute, come lo scorso anno, quest’anno finalmente tutto si è messo in fila e sono potuto partire.
La condizione solitaria non è stata una scelta ma una necessità in quanto nessuno degli amici che solitamente mi hanno accompagnato negli altri pellegrinaggi e nelle precedenti avventure era in grado di accompagnarmi questa volta.
Certo essere soli rappresenta una condizione severa sotto il profilo psicologico, specie per periodi così lunghi ed in viaggi così impegnativi, ma io in qualche modo sono molto allenato a starmene solo. Sono allenato dalle lunghe e solitarie escursioni che da anni mi portano a vagabondare per i boschi, i campi, i prati ed i sentieri delle nostre magnifiche colline ed anche, tutto sommato, dal mio lavoro in quanto per molti anni alla Ferromax sono stato solo in ufficio, anche se avendo sempre a fianco, al di là del corridoio, i collaboratori e gli amici dell’officina.
Il modo di essere soli del Cammino è poi del tutto speciale in quanto è un essere solo fra tanti altri. Lungo il cammino infatti si incontrano tanti altri pellegrini, molte sono donne, provenienti da ogni parte del mondo. Tanti personaggi interessanti che a volte hanno già fatto il cammino più di una volta, non solo giovani, ma alcuni anche in età avanzata e magari con qualche problema di salute o fisico. Compagni occasionali di viaggio con cui condividi parti del tragitto, scambi impressioni ed esperienze e da cui puoi ricevere aiuto in caso di bisogno.
Quando sei solo il pensiero del viaggio, di cosa troverai dietro la prossima curva o nel prossimo villaggio, di come reagirai di fronte alle eventuali difficoltà ti assorbe molto ma poi pian piano ci si tempra. E’ comunque una buona occasione per pregare molto, per riflettere su te stesso e gli eventi della vita e, perchè no, per apprezzare e desiderare come non mai le care presenze dei familiari che ti mancano: la moglie, i figli, i nipotini tantissimo, i parenti, gli amici e le buone cose che hai lasciato a casa, compresa la comunità di appartenenza, nella fattispecie Casola e i casolani. E’ assai confortante sapere di avere un ambito caldo ed accogliente come una famiglia ed una comunità, a cui ti unisce un forte sentimento di identità ed in cui sei fortemente radicato, a cui tornare dopo i tempi dell’avventura.
Sotto il profilo fisico io paradossalmente le maggiori difficoltà le ho trovate nelle soste più che nella marcia. Ho infatti un sonno molto leggero ed interrotto per cui non sempre l’alloggio negli ostelli, in camerate numerose e con letti a castello, mi riusciva riposante, specie se avevo la disgrazia di essere abbinato a forti russatori. Qualche volta, dopo una giornata particolarmente dura ed impegnativa, mi sono concesso pertanto il lusso di una camera singola in albergo.
Prima di partire, sapendo di non riuscire a viaggiare con pochissime cose al seguito e preventivando dunque che il mio zaino sarebbe stato molto pesante, come poi è stato, circa 17 kg, senza contare le borracce ed un po’ di viveri di emergenza, ho progettato un carriolino da portarmi al seguito su cui caricare armi e bagagli e da trainare a mo’ di somaro. Il carriolino realizzato in alluminio nella versione definitiva, con l’aiuto prezioso di Alessandro Cenni e delle officine Lasifaber e Fabbri Elio, montato sulle intrepide routine di un triciclo dismesso dei miei nipotini, si è rivelato la carta vincente del viaggio. Ha anche rappresentato la novità del pellegrinaggio riscuotendo la curiosità e l’interesse di moltissimi altri pellegrini che incontravo curvi sotto il loro zaino. Per tutti questi io ero diventato “l’uomo del carriolo”.
Il tempo con me è stato clemente, ho preso l’acqua un paio di volte sui passi montani ed il caldo non è mai stato soffocante perchè temperato da una brezza leggera, da qualche nuvola provvidenziale o, qualche volta, dal cielo coperto. Tutto comunque è filato liscio come l’olio, non ho mai avuto disturbi fisici di rilievo, una sola piccola vescichetta alla pianta di un piede prontamente curata, e non ho dovuto far fronte a qualche particolare disguido o difficoltà, se non quelle di routine come la naturale stanchezza al termine di una giornata, un po’ di sete e di spossatezza in qualche occasione.
Prima di partire, in una delle mie ultime uscite di allenamento mi sono recato al monte della croce di Albignano e ho seguito un percorso mai fatto prima all’andata, salendo direttamente dal campo sottostante. In quel tardo pomeriggio magico la croce, colpita dai raggi del sole, mi si è accesa davanti interamente brillando con uno splendore mai visto e di una intensità inusitata, tale da obbligarmi a tenere gli occhi socchiusi per guardarla. Era una croce gioiosa: “La croce mi sta sorridendo”, mi è venuto naturale di pensare e mi sono ritrovato a ridere contento. Non sono molto incline a cedere alla fantasia sulle cose riguardanti la spiritualità, la mia infatti è una fede abbastanza rigorosa, molto concreta e legata alla razionalità, anche se sempre aperta al mistero della Misericordia. Tuttavia in quel frangente mi è venuto naturale chiedermi se quello non fosse da considerarsi un segno di buon auspicio. D’altra parte non sono certo mancate durante le vicende della mia vita quelle strane coincidenze, e quegli strani e singolari incroci di accadimenti che ti fanno seriamente riflettere sulla loro insolita e provvidenziale casualità. Ebbene, al pomeriggio del mio arrivo a Santiago, dopo la felice e soddisfacente conclusione del mio pellegrinaggio, mi è capitato ad un tratto, nella plaza del Obradoiro, antistante la cattedrale, di gettare lo sguardo ad una delle torri a guglia della sua facciata mentre una sua vetrata, colpita dal raggio del sole al tramonto ha cominciato a brillare con lo stesso splendore a cui ormai la nostra croce, nei suoi giorni migliori, ci ha abituato. Beh! Non ho potuto far a meno di mettermi a ridere con gioia: - Ecco - ho pensato - San Giacomo allude e mi fa l’occhiolino ed in qualche modo mi prende in giro. Di che cosa avevi paura? – sembrava mi dicesse.
Durante il viaggio Manuel, un giovane e simpatico pellegrino brasiliano, che si definiva un “buscador” ovvero uno che cerca, che stava facendo il Cammino per la seconda volta e con il quale ho percorso alcuni tratti di strada, mi ha posto la domanda fatidica: - Ma tu che cosa cerchi sul Cammino? – e con un taccuino si è apprestato, con una certa mia sorpresa, a prendere appunti.
- Lo sa il cielo – ho risposto – innanzitutto lo faccio perchè è un pellegrinaggio, quindi per una esigenza essenzialmente spirituale, altrimenti difficilmente lo farei, ma ciò non spiega tutto perchè certi scopi li potrei anche raggiungere standomene seduto nella mia camera o sui banchi di una chiesa. Evidentemente questo tipo di esperienza si addice al mio temperamento portato a sperimentare certe avventure. Gli Scouts, ed io lo sono fino alla punta dei capelli, chiamano tutto ciò lo “spirito della strada” ed in me questo spirito è molto forte.
- E tu – gli chiedo io di rimando – che cosa cerchi, visto che questa esperienza l’hai già fatta un’altra volta?
- Io cerco quello che non ho trovato la prima volta – mi risponde. E qui siamo scoppiati tutti due a ridere.
In definitiva non c’è un motivo solo ed esclusivo perchè razionale e ravvisabile nel decidere di affrontare una esperienza come questa. In genere concorrono un insieme di motivazioni, anche molto legate alla personalità di ogni singolo individuo, anche se è chiaro e documentato che è assolutamente dominante una motivazione di fondo spirituale e religiosa. Per questo motivo è stato per me assolutamente sconfortante osservare, e non perderò mai occasione di farlo rilevare, che lungo tutto il cammino i numerosi cartelli segnaletici sponsorizzati dalla CEE riportano solo la scritta “Camino de Santiago itinerario cultural Europeo”: nessun accenno dunque alla dimensione religiosa e spirituale di questo straordinario percorso. Un vero schiaffo alla verità, una vergognosa e mistificante omissione operata, non è difficile capirlo ed immaginarlo, in nome di quel tanto celebrato quanto fasullo ed insulso spirito laico di cui è impregnata una buona parte, quella peggiore ed apparentemente e burocraticamente asettica, dell’apparato politico ed amministrativo della Comunità Europea. Quella che, non si sa se per ignavia o per gretto, tignoso e rancoroso laicismo, disconosce e non vuol riconoscere le radici spirituali della nostra civiltà, sacrificando la realtà sull’altare di una malintesa ed imbelle imparzialità.
Terminato il pellegrinaggio e conquistata l’ambita Compostela e il certificato di “pellegrino doc”, dopo aver presentato all’apposito ufficio della cattedrale la credenziale zeppa dei “sellos”, i timbri che documentano il passaggio lungo le varie tappe del Cammino e danno la misura della strada percorsa, sono rientrato in Italia in aereo partendo dall’aeroporto Lavacolla di Santiago ed atterrando a Roma Ciampino. Da qui in autobus e taxi fino alla stazione di Roma Tiburtina per proseguire in treno sino a Castel Bolognese dove sono giunto il giorno 30 luglio, appena in tempo per respirare e partecipare con gli amici Scouts, all’alba dell’1 agosto, alla suggestiva cerimonia del rinnovo della promessa celebrata al monte della Croce, uniti nello spirito con gli Scouts di tutto il mondo, in ricordo dei 100 anni trascorsi dal primo campo scout organizzato da Baden Powell, il fondatore, sull’isola di Bronswea in Inghilterra. Era un appuntamento a cui tenevo molto partecipare e a cui, in diversi momenti durante il mio pellegrinaggio, ho temuto di non riuscire a fare in tempo ad essere presente.
Di questo viaggio infine cosa posso dire? Sono contento di essere tornato in seno alla famiglia ed alla mia comunità dopo una esperienza impegnativa felice ed intensamente vissuta dopo averla altrettanto intensamente desiderata. Sono felice di aver infilato nel mio zaino una bella avventura da ricordare nei prossimi anni e da raccontare ai miei nipotini, magari, a questo scopo, colorandola un po’ con l’inserimento dell’incontro di qualche drago, di qualche orco o di qualche lupo affamato perchè si sa che ai bimbi se non c’è un drago, un orco o un lupo affamato le favole piacciano molto meno.”

A cura di Francesco Rivola

x un approfondimento https://it.wikipedia.org/wiki/Cammino_di_Santiago_di_Compostela

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