Come si può leggere in bibliografia (Advances in Experimental Social Psychology 2011, Vol. 44, Cap. 5 Pag. 247) l’effetto Dunning-Kruger descrive una alterazione cognitiva che causa la sopravalutazione del proprio giudizio quando non si è oggettivamente esperti dell’argomento trattato. Per altro, professionalità e competenza sono spesso causa della distorsione inversa: conoscere bene e saper valutare la complessità dell’argomento può indurre l’individuo ad una eccessiva prudenza, il ché, tra le altre cose, diminuisce le sua capacità di convincimento presso gli altri. Questa teoria è stata esposta in maniera scientifica (avvalorata da sperimentazione) solo nel 1999, ma in realtà la saggezza antica dei nostri padri l’aveva anticipata molto prima.  Per tutti basti citare un bastione della letteratura mondiale, il grande drammaturgo inglese Wiliam Shakespeare. Il Bardo di Stratford, nella commedia pastorale “A Piacer Vostro”, scrive queste parole “Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio.”

Un tipico esempio applicativo di questo effetto riguarda la diatriba “Vaccini si-Vaccini no”, nella quale alcuni genitori molto confusi attribuiscono la verità non alla conoscenza scientifica, ma all’alta qualità tecnologica con cui vengono espressi, nella rete web, certi giudizi ad essa contrapposti, confondendo così l’eccellenza del mezzo con l’uso mediocre e menzognero che se ne può fare.

 

 

 A fine degli anni 90 John Tierney, giornalista del New York Times, visitò più volte alcuni villaggi Humza, popolazione himalayana a cui si attribuiva il record mondiale di longevità. La causa, si diceva, era da ricercare nella dieta, sostanzialmente vegetariana, nella vita all’aria aperta e nell’inquinamento ambientale del tutto assente nel loro territorio. In realtà, come ebbe a scoprire Tierney, il gran segreto era tutt’altro: gli Humza erano in sostanza un popolo barbaro e non sapevano contare gli anni. E così i vecchi, ignoranti e analfabeti, non avendo un certificato di nascita e non sapendo esattamente quanti anni avevano, azzardavano un numero che tendeva ad essere sempre molto più alto del reale. La ragione è semplice: volevano auto-attribuirsi il prestigio sociale e l’alto rispetto riconosciuto agli anziani nella cultura di questo popolo.

Con un meticoloso lavoro di comparazione tra i racconti dei vecchi e gli eventi storici realmente accaduti, Tierney riuscì  a scoprire che tra gli Humza non viveva affatto un numero di centenari straordinario. Anzi, in realtà l’aspettativa di vita di questa gente era piuttosto bassa: circa 55 anni per gli uomini e 53 per le donne, il ché la dice lunga su chi dei due, per tirare avanti, facesse i lavori più faticosi… nella realtà quindi, gli Humza erano gente logorata anzitempo da una vita dura e avara di risorse.

Recentemente, con la costruzione delle nuove strade di fondovalle, l’aspettativa di vita degli Humza è improvvisamente balzata a 63 anni per gli uomini e 65 per le donne. Non è un caso: con le strade sono arrivate non solo mercanzie, ma anche cibo, e con questo una dieta più bilanciata, e soprattutto medicinali e vaccini. 

In contrasto al dato oggettivo, John Tierney ha così registrato una delle sue ultime interviste fatta ad una vecchiettina Humza convinta di quanto la civilizzazione abbia invece solo peggiorato l’aspettativa di vita e la salute del suo popolo:

“ Una vecchia donna di nome Bibi Khumari mi ha detto:

- Le genti di oggi sono come matite. Noi eravamo come tronchi d’albero, ed i nostri figli erano così in salute nei bei tempi andati.-

Le chiesi:

- Quanti figli hai?-

-Sedici, ma i primi tredici mi sono morti.-

- Tredici morti? Ma non eravate tutti in grande salute nei bei tempi andati?-

Rispose a questo modo:

- Si ma mi hanno maledetto le fate. Ecco perché i miei figli sono morti, altrimenti sarebbero stati tutti in salute.-

Poi si è fermata e ha aggiunto con aria malinconica:

-Oggi le maledizioni delle fate non esistono più.-

Pier Ugo Acerbi

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