Premetto che mai vorrei vivere accanto ad una centrale nucleare del tipo convenzionale. Tuttavia, penso sia stato un errore per l’Italia escludere l’energia atomica dai propri programmi di ricerca.
A parere dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, una sezione operativa dell’ONU), le vittime dirette, dovute all’esplosione del reattore n°4 della centrale nucleare Vladimir Lenin di Chernobyl, furono 65. Negli anni successivi, le morti imputabili ad esposizione alla radioattività sono state circa 4000. I dati ufficiali dell’ONU non sono creduti veri da Greenpeace.

L’ente non-governativo, addirittura, stima tra i 5 e 7 milioni le vittime che l’esplosione radioattiva di Chernobyl causerà complessivamente entro 100 anni dal disastro. Tale valutazione viene ritenuta esagerata perfino dal gruppo dei Verdi al Parlamentare Europeo, i quali concordano sul dato ONU per i decessi già avvenuti e stimano tra i 30 ed i 60 mila i morti nei prossimi anni.
Comunque sia, si trattò di una tragedia immane. Questa è la certezza. Ma è altrettanto certo che lo stesso aggettivo è perfettamente applicabile anche ad un’altra tragedia: il crollo della famosa “Diga di Ferro” di Bangijao (un invaso della capacità di 500 milioni di m3), dove i dati governativi cinesi riferiscono di oltre 170mila vittime, ricordo che la diga era stata costruita per generare quell’energia rinnovabile che spesso in troppi definiscono come assolutamente priva di “effetti collaterali”.
In definitiva, la sicurezza assoluta non esiste, e, detto questo, si dovrebbe sempre essere coscienti che l’utilizzo di qualsiasi fonte di energia, alcune più altre meno, ha un impatto negativo sull’ambiente (salvo non si voglia credere a storie tipo “la benzina verde” degli anni 90). Tanto più se si tratta di una fonte energetica sfruttata nel posto sbagliato: ad esempio, il geotermico di profondità va sfruttarlo a Lardarello piuttosto che a Cortina, così come e il fotovoltaico va sfruttato nel sud Italia piuttosto che nel nord. Per quanto riguarda il nucleare di tipo convenzionale, già rischioso di suo, se sfruttato in zone altamente sismiche, magari a ridosso del mare, i margini di rischio diventano un autentico azzardo (leggi Fukushima).

Il premio Nobel italiano Carlo Rubbia, già da anni, auspica lo stanziamento di fondi destinati alla costruzione di un piccolo reattore nucleare. Lo scopo vorrebbe essere quello di verificare un ciclo nucleare fino ad oggi mai sperimentato, in modo adeguato, per ricavarne energia: quello del torio/232. Brevemente, mi cimento nel tentativo di spiegare questo ciclo atomico nella certezza che il mio amico Mino perdonerà qualche (comunque inevitabile) eccessiva semplificazione:

Un “cannone” protonico, colpisce, con un flusso di protoni, un obiettivo costituito da una massa di piombo. Di conseguenza, il piombo, emette neutroni. I neutroni vengono intercettati dal nucleo di combustibile dove si trova il torio. Questi si trasforma in uranio233. L’uranio233 si “spacca” in sottonuclei liberando grandi quantità di energia. L’energia generata scalda una piscina contenente piombo (fuso). All’interno della piscina, uno scambiatore di calore alimenta il ciclo di una turbine a vapore, la quale, tramite l’alternatore, produce energia elettrica. In definitiva, la grande novità sta nel fatto che la reazione nucleare non si autoalimenta ma viene continuamente sostenuta agendo dall’esterno.

I vantaggi (per ora solo teorici) sono così elencabili:

1. Se il “cannone” protonico viene spento (volontariamente o per incidente) il “nocciolo combustibile” cessa all’istante ogni attività nucleare. Questo è quello che non è accaduto a Fukushima. Infatti, nel momento del sisma, dei 6 reattori componenti la centrale atomica giapponese (reattori in grado di sviluppare complessivamente 13.700 MWtermici, il rendimento elettrico è circa il 33%), tre reattori erano spenti per manutenzione e tre reattori erano in attività produttiva. Dopo la prima scossa di terremoto, l’intervento immediato dei sistemi di sicurezza ha spento automaticamente i reattori in funzione ma si è mantenuta (inevitabilmente perchè intrinseco nella tecnologia di sfruttamento del ciclo/uranio/plutonio) una attività nucleare residua fortemente esotermica (3% circa rispetto al “pieno regime”), questo vale anche per i tre reattori che già si trovavano in stato di fermo per manutenzione. Nel complesso, c’erano quindi all’incirca 410MWt da smaltire. E questi 400MWt sono i responsabili del patatrac… i sistemi di raffreddamento erano fermi a causa della mancanza di corrente elettrica. Anche i generatori di emergenza, a “tripla sicurezza (?!)”, erano finiti sott’acqua. Tutto questo non può accadere in una centrale nucleare a ciclo/torio.
2. Va da sé, il punto 1 giustifica l’eliminazione di complicati e costosi sistemi di sicurezza.
3. La reazione del ciclo/torio è energicamente più efficiente rispetto alla reazione del ciclo/uranio/plutonio. Lo stesso peso di combustibile ha un fattore di rendimento circa 250 volte maggiore.
4. In natura, il torio è un elemento più abbondante rispetto all’uranio (si stima dalle 3 alle 4 volte). Inoltre, fattore non trascurabile, i principali giacimenti di torio sono tutti localizzati in paesi politicamente stabili (Australia, Nord America, India, Brasile e Turchia,)… una volta tanto, anche noi italiani saremmo tra i fortunati: in Italia si trovano significative quantità di questo minerale (Val d’Aosta e soprattutto Lazio).
5. Il torio, per essere utilizzato come combustibile nucleare, non necessita di alcun processo di arricchimento, come invece è necessario per l’uranio.
6. Un aspetto importantissimo è costituito dal fatto che le scorie esauste di un reattore ciclo/torio hanno una radioattività molto più bassa rispetto a quelle di un reattore nucleare ciclo/uranio/plutonio (circa 1000 volte meno). Ma soprattutto, il tempo richiesto per avere un decadimento del valore di radioattività al di sotto di quello naturale dell’uranio, è circa 10.000 volte inferiore (100 anni contro 1.000.000 di anni!)
7. Le pericolose e difficilmente stoccabili scorie prodotte dai reattori nucleari di tipo convenzionale potrebbero essere utilizzate (e quindi eliminate) come combustibile all’interno di un reattore ciclo/torio.
8. Per ultimo, di rilevante importanza simbolica, va sottolineato che tra le scorie di reazione del ciclo/torio, è quasi assente il plutonio (materiale di comune uso nella fabbricazione di ordigni nucleari).

Ovvio, le incognite ed i rischi esistono ma le premesse, tutto considerato, sono buone.
Sarei quindi dispiaciuto se l’atomo venisse, una volta ancora, cancellato anche dai laboratori di ricerca italiani. La “Sindrome cinese”, risvegliata in tutti noi dai recenti avvenimenti giapponesi, non dovrebbe trattenerci dal valutare serenamente tutte le potenzialità dell’energia nucleare.

Pier Ugo Acerbi
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