In tutto l’arco della vita ci è data un’eredità che purtroppo il più delle volte non sappiamo di avere o che trascuriamo per pigrizia: la Chiesa di Dio. Noi siamo famiglia di Dio. La Chiesa parrocchiale è la struttura vivente affidata ad una porzione di territorio, e anche quando non sembrasse dare più stimoli (perché a questo siamo avvezzi: ad aspettarci sempre qualcosa), è una presenza stabile e sicura, sempre garante e custode dei momenti più sacri dell’esistenza: il matrimonio, la nascita dei figli, i sacramenti dell’iniziazione cristiana, la morte.
Nella Chiesa siamo battezzati e accompagnati nei primi anni di crescita, e anche qualora ci dimenticassimo ben presto di questa nostra Madre, essa non ci molla mai, e alla fine, almeno nell’ora della morte, possiamo essere certi che dalla Chiesa riceveremo un sigillo dignitoso degli anni trascorsi nel nostro passaggio sulla terra come figli di Dio e fratelli tra noi.
Se non ci fosse la Chiesa, ce ne accorgeremmo!… Eppure diamo per scontato che Dio debba essere fedele per sempre (e lo è, per fortuna!), e che sia quasi un dovere da parte sua mantenere in piedi questa struttura a cui ha dato vita. Ma, ragazzi! Rendiamoci conto che Dio non ha bisogno assolutamente di nulla e che ciò che ha creato è per noi, a nostro uso e, ohimè!, anche in nostra custodia. Non è solo questione di preti, suore e pochi altri. Abbiamo tutti il diritto di sentire la Chiesa “cosa nostra”, ma – attenzione! – anche il dovere.
La Chiesa, o più a nostra misura, la parrocchia, non è una stazione di servizio dove andare solo per caricarsi un po’ o perché si deve: è una visione piuttosto misera questa.
Abbiamo un patrimonio enorme di cui usufruire per il nostro bene. Io lo dico spesso: chi non va in chiesa non è peggio di chi ci va (a volte accade il contrario), ma solo uno che non sfrutta un’occasione, perché, in quanto battezzato, ha ricevuto in dono la Chiesa, ha una ricchezza incalcolabile a sua disposizione, che il più delle volte non conosce.
Però la chiesa è “cosa nostra” anche quando non ci fa comodo, ossia anche quando c’è da spenderci tempo ed energie per prendercene cura. Altrimenti potremmo essere dei “parassiti di Dio”, come lo si può essere per la società civile, per la famiglia e qualunque ambito in cui si è inseriti.
Come impegni da poter assumere, c’è solo l’imbarazzo della scelta, ognuno coi propri doni. Adesso per esempio so che la Misericordia ha un gran bisogno di persone che si prestino almeno un giorno al mese per accompagnare gli anziani ed ammalati. Ma si ha soprattutto bisogno di gente che preghi, che si metta in ginocchio e attinga alla sorgente dell’Amore stesso per poterlo donare. Quanta testimonianza da uno che sa stare in ginocchio davanti a Dio! Le nostre chiese godono pochissimo della consolazione di un figlio o una figlia che si pieghi in ginocchio ad invocare lo Spirito Santo sulle proprie scelte e azioni o semplicemente ad adorare e lodare il Creatore e Redentore del mondo per tutto quanto ci dona e fa per noi.
Coraggio! Fatevi avanti! Grandi e piccoli, ciascuno dovrebbe andare dal proprio parroco e dire: «Padre, cosa posso fare per questa nostra chiesa? Io posso spazzarla una volta alla settimana, io posso aiutare Carolina a prendermi cura dei fiori, noi possiamo fare un po’ di animazione alla Casa Protetta una volta al mese come gruppo di ragazzi che hanno appena ricevuto la cresima, noi possiamo andare a fare gli auguri ai nostri ammalati in occasione del loro compleanno, noi ci prendiamo l’impegno come famiglia di leggere insieme una pagina di Vangelo al giorno, noi invece decidiamo di non mancare mai insieme alla messa domenicale e alle iniziative parrocchiali che si fanno…. Tutto ciò gioverebbe molto di più che il televisore o qualche giro ozioso!
Lo dicevo al gruppo scouts che ho incontrato ( e ammirato) : l’episodio evangelico solitamente chiamato “la moltiplicazione dei pani” è visto come una specie di magia di Gesù che da pochi pani riempie le ceste di tutti. L’interpretazione è limitatissima. Il fatto si potrebbe meglio intitolare: “la condivisione dei pani”, perché lì Gesù in realtà insegna che se ciascuno da del proprio (come il ragazzino che gli presenta cinque pani e due pesci), e lo condivide con gli altri, a nessuno mancherebbe più nulla, anzi ne avanzerebbe. Così è nella Chiesa. Siamo responsabili tutti noi cristiani, non solo i preti, che sono i nostri capi (adesso anche anziani, affaticati e a volte ammalati) o qualcuno attorno a loro. E’ ora di svegliarsi e di assumere ciò che ci appartiene, responsabilmente. Abbiamo cura dell’eredità che ci è data in custodia da Dio stesso. Amiamo la parrocchia come nostra casa comune e famiglia, come casa famiglia dei figli di Dio che abitano in una porzione di terra. Come dovrebbe essere. Come dovremmo amare. Saluti.
Sorella Mariangela.