Ieri guardavo la televisione, mentre facevo le pizze, e in mezzo alle notizie del TG1, mi sono incantato a guardare il volto di una anziana signora ottantenne, nata in Iran, vissuta in rhodesia, ma cittadina britannica.
Tornava a casa con la borsa della spesa, in una di quelle classiche casette londinesi di mattoni, con un fracobollo di giardio davanti e graziose tendine alle finestre.
Un microfono grande come una clava le veniva brandito davanti agli occhi, e lei, china in avanti e imbarazzata, cercava di liberarsene, scuotendo la testa.
Tornava a casa con la borsa della spesa, in una di quelle classiche casette londinesi di mattoni, con un fracobollo di giardio davanti e graziose tendine alle finestre.
Un microfono grande come una clava le veniva brandito davanti agli occhi, e lei, china in avanti e imbarazzata, cercava di liberarsene, scuotendo la testa.
Sembrava un sondaggio, o forse il giornalista cercava dalla signora un qualche parere su un qualche fatto di sangue, notizia che di questi tempi gode di un grande successo di pubblico.
Ma c'era qualcosa che non mi tornava.
Così, tra una pizza e l'altra ho alzato il volume.
Il giornalista stava chiedendo alla anziana signora, che rincasava dopo aver fatto la spesa, cosa ne pensasse del premio Nobel.
La signora era Doris Lessing, e quel Nobel lo aveva appena vinto.
Non sapeva cosa rispondere.
Immagino che sia impossibile farlo, a caldo.
Ma non so.
E mai lo saprò, visto che comela maggior parte dell'umanità mai ne vincerò uno (però farei ancora in tempo a laurearmi, e magari con qualche dritta di Bomba portare a casa quello per la Fisica...)
Mi ha colpito quella simpatica signora con la spesa in mano, perchè la conoscevo.
Volevo subito scendere di sotto al bar a darmi un po' di arie, tipo, ehi, chi vuole stringere una mano che ha stretto quella di un premio Nobel?
Oppure: ehi, qualcuno a Casola conosce un premio Nobel, a parte me?
Pataccate da bar, così.
Di solito poi non parlo mai di quello che faccio come 'scrittore' (e mi scuso con Michelino per non avergli mai scritto quel pezzo su tutti i miei tour in giro per l'Italia e l'Europa) ma questa volta mi piace raccontare questa piccola storia.
L'anno scorso mi invitarono a Segovia, una graziosa cittadina a quaranta chilometri da Madrid, famosa per l'acquedotto romano perfettamente conservato che passa proprio per la piazza del paese.
A Segovia fanno un festival di letteratura, gemellato con il Guardian Hay festival in Galles, il più antico festival letterario del mondo: ero stato ospite anche lì, e visto che la raccolta di racconti in cui avevo scritto era stata tradotta anche in Spagna, mi hanno chiesto di andare.
ovviamente, non mi sono tirato indietro.
Quattro giorni di Spagna a gratis, solo per parlare un'ora di un racconto ambientato a fine anni ottanta al Bull Bull di Castrocaro Terme non sono priprio quello che si dice un sacrificio.
Sono arrivato a Segovia di mercoledì: in albergo ho trovato una lettera sul letto che conteneva l'invito per un buffet di benvenuto che il municipio offriva a tutti gli ospiti del festival.
Sono di quelli ai queli la parola Buffet scatena gli istinti peggiori, non so resistere,mi monta dentro come una fame atavica, secoli e secoli di pane e acqua patiti dai nostri avi.
La sera mi sono presentato in municipio in largo anticipo, perchè ero fermamente intenzionato ad assaggiare ogni singolo piatto del buffet.
Era un palazzo medievale, molto bello, con cortile interno,uscito pari pari da un'opera di sheakespeare.
vabbè, non voglio farla lunga.
mantre stavo per lanciarmi all'arrembaggio del buffet ( c'era un tavolo immenso pieno di bottigliette di Coca Cola di vetro e Champagne, mi sono detto: ok, pazienza, sono morto, però almeno mi hanno fatto entrare in paradiso) mentre stavo per radere al suolo tutto quel ben di Dio, Peter, un tedesco che conoscevo perchè mi aveva invitato alla festa del libro di Berlino, mi ha fermato chiedendomi se mipoteva presentare una persona.
Ero molto combattuto.
C'erano quintali di vivande multicolori, stuzzichini incantevoli, serviti da camerieri in alta uniforme, roba capace di far perdere la testa a un vecchio Lupetto affamato come il sottoscritto.
Però le buone maniere sono le buone maniere, ho tirato il freno a mano, ho sfoderato un sorriso almeno decente e ho detto di sì, con molto piacere.
E peter mi ha presentato questa simpatica signora, piccolina, con i capelli bianch e uno scialle di lana arancione e viola sulle spalle, sembrava un po' la mia vicina di casa Giovannona, quella che andava a lavare i panni al fiume con la cariola.
E Peter ha detto, 'Miss Lessing, le presento Cristiano Cavina'
E io ho pensato: 'ecco, buonanotte. nessuno mi crederà mai se lo racconterò'
Gli ho spiegato chi ero,e cioè più o meno nessuno, e di quantoero fortunato a essere lì, ma non per il buffet, ma per aver conosciuto lei, che per chi legge è una leggenda.
E poi mi sono lasciato scappare che mi piaceva quello scialle, mi ricordava molto la mia nonna, che era morta quando avevo sedici anni, e lei ha sorriso con molta tenerezza, e ha voluto sapere com'era, e io, che mi faccio prendere, le ho raccontato, ho raccontato a Dorsi Lessing, che l'anno dopo avrebbe vinto il premio Nobel per la letteratura, che mia nonna si chiamava cristina, che era una portalettere, che abitava in un piccolo paese dellaromagna chiamato Casola e via dicendo, come solo noi Casolani sappiamo fare.
In un attimo, lei si è ritrovata davanti un essere strano, con un piatto vuoto in mano, che le parlava di un luogo minuscolo che per chissà quale motivo doveva invece essere il centro del mondo.
era molto divertita.
Finito di parlare, ci siamo diretti al buffet.
Gli scrittori sono affamati non solo di storie,ma anche di cibo, non rimaneva niente.
sembrava che fossero passati gli Unni, lasciando solo le briciole, piatti sporchi, e camerieri con le divise smagonate.
Si erano salvate due bottigliette di coca cola e qualche tartina con una strana salsa giallastra sopra.
Così, in pizzeria, ieri, ho rivisto quella simpatica signora che cercava di scansare un microfono, mentre la informavano che aveva appena vinto il premio Nobel per la letteratura, e le chiedevano come si sentisse.
E mi sono sentito profondamente fortunato di averle parlato di mia nonna cristina e di Casola.
E di aver sorseggiato con lei, su una panchina di pietra nel giardino di un vecchio edificio medievale di Segovia, una bella bottiglia di coca cola, pensando al suo scialle arancione e viola, simile a quello di mia nonna.
Mi sono sentito risarcito di un sacco di cose tristi.
E con un sacco di cose tristi mi sono finalmente sentito in pace.
Cristiano Cavina