Che cos’è uno Scout?
Comincia proprio così, con questa semplice domanda, un vecchio libro intitolato “Il mondo dei lupetti” che, attraverso un centinaio di pagine fatte di poche parole e molti disegni, cerca di spiegare ai più piccoli il complesso mondo dello scoutismo. Per me è un libro bellissimo, che ho divorato almeno dieci volte da bambino e che di certo rileggerei con gusto anche oggi, se solo diavolo riuscissi a trovarlo.
Cento pagine in un libro per bambini solo per rispondere ad una domanda. Di certo sembrano eccessive ed in contrasto con la psicologia dei più piccoli, che necessitano di risposte chiare, verificabili e di immediata comprensione. Che l’autore abbia preso un abbaglio?

A pensarci bene, non è per niente facile trovare le parole giuste per spiegare che cos’è uno scout senza rischiare di cadere nella solita retorica di circostanza o comunque nella banalità.
Non a caso, lungo i quasi cento anni della sua esistenza, lo scoutismo ha raccolto in giro per il mondo tutta una galleria di definizioni, dalle più lusinghiere alle più impietose, in cui si sono cimentati personaggi illustri o semplicemente famosi. Chiunque abbia fatto esperienza di scoutismo e ne abbia assaporato l’essenza, sa che vanno bene allo stesso tempo tutte e nessuna, semplicemente perché l’essere Scout è, al di là di tutti i possibili voli pindarici, uno Stile, un’esistenza fatta di esperienze, emozioni più o meno intense, di gioie e delusioni. Insomma, uno specchio (o uno spicchio?) della vita. E come tutti ben sanno, non è possibile imbrigliare la vita di nessuno in una definizione altisonante, in un’iperbole sbrodolante lodi o in un epiteto pronunciato solo per dar aria alla bocca. Per questo, pur nella condivisione degli stessi ideali e nel rispetto di determinati valori, sarà ben difficile trovare uno scout uguale ad un altro, con le stesse passioni, le stesse interpretazioni e con identiche sensibilità.
Lo scout: uno, nessuno, centomila.
Forse è per questo che l’immagine che lo scoutismo dà di se stesso agli occhi di chi è estraneo al movimento è spesso distorta, sfocata o difforme, sicuramente caleidoscopica. Non è certo colpa dell’osservatore esterno se, seppur munito della migliore volontà di capire, riceve inevitabilmente solo un’impressione parziale e limitata dagli eventi contingenti di cui si trova ad essere spettatore. Ma d’altro canto non è neppure colpa del Movimento e della maggioranza di chi ne fa parte, che è ben consapevole delle difficoltà comunicative che comporta il “parlar scoutese” e cerca di fare tutto il possibile per superarle. Non mi sentirei però di assolvere così facilmente né chi (pochi), dall’interno delle associazioni scout, fa di tutto per non farsi intendere se non addirittura rendersi antipatico, né chi (pochi anche questi, per fortuna), dall’esterno, liquida gli scout come “i servi del prete”. A Casola abbiamo sentito anche questa.
A parlare a vanvera si fa presto, ma come detto in precedenza, a parte certe idiozie, tutte le frasi ascoltate e le definizioni carpite all’esterno tra le pieghe dei discorsi, nel nostro piccolo, sulla questione “che cos’è uno scout?” sono sempre state simpatiche, spontanee e condite di sana ironia. Di solito le abbiamo accettate di buon grado, consapevoli di essere i primi, e talvolta i soli, responsabili dell’immagine che viene percepita dall’esterno. Della confusione che regna su ciò che facciamo, su quelle che sono le finalità della nostra associazione e le nostre peculiarità nel contesto sociale. In questi undici anni di attività a Casola (abbiamo appena festeggiato il decennale della nostra “gestione”, ne abbiamo parlato in un articolo comparso sul sito de Lo Spekki(ett)o a novembre, ndr) se ne sono sentite di tutti i colori: qualcuno, agli inizi della nostra avventura, ci bollò come un’organizzazione paramilitare mentre altri si presero la briga di ricordarci che, con quel fazzolettone al collo, sembravamo militanti rivoluzionari o contadini di un tempo che fu. O ancora, membri di un sindacato in sciopero o…chi si ricorda più?
Ci fu perfino chi si fece carico di consigliarmi personalmente: “Falli marciare al passo questi ragazzini, prova qualche tecnica di mimetizzazione e imboscata sennò che roba è? E fa imparare a qualcuno a suonare la tromba, ché non si può fare l’alza bandiera senza un trombettista. E, già che ci sei, urlagli nelle orecchie quando li svegli al campo!” Semplicemente mitico.
Da altri nostalgici invece, mi sono sentito ammonire che negli anni ’50 gli Scouts le prendevano di santa ragione dai Rockabilly. Se è per questo le prendevano anche dai fascisti, loro però sono durati “solo” un ventennio. E i Rockabilly? Meno, di sicuro.
Qualcun altro invece, lo scrivo in amicizia e comunque con franchezza, sembra averci scambiato per menestrelli buoni per tutte le occasioni: quando c’è da rompere il ghiaccio con un canto o una danza all’inizio di un evento, oppure quando ci vuole un gioco, per forza un grande gioco e non preoccupatevi! Si arrangiano gli Scout! Lo faremo ancora il grande gioco, ci mancherebbe, ma mi piace rimarcare che non siamo questo, o almeno non solo questo. Il gioco e le varie forme di espressione sono solo alcuni (e neppure i fondamentali) tra gli strumenti usati per fare educazione ai ragazzi, guidandoli a formarsi nella responsabilità, nella lealtà, nel coraggio delle proprie scelte, nel rispetto della natura, nell’amore verso Dio e verso gli altri.
Tante definizioni, e tante percezioni diverse: per alcuni genitori è stato importante che i figli abbiano imparato a cucinare o anche solo a tener in ordine la propria roba. Per altri è stato fondamentale l’acquisizione dell’autonomia da parte dei ragazzi, per altri “questi scout si lavano poco” oppure: “Mangeranno abbastanza?” o “L’importante è che si siano divertiti”. Molti hanno vissuto a 360° l’esperienza dei figli attraverso i loro racconti o con la partecipazione attiva, qualcuno forse ha passato qualche notte in bianco col pensiero di suo figlio accampato in un bosco, solo coi suoi coetanei o con due-tre ventenni che fanno i capi... Va tutto bene, non ci sono regole ed è giusto così. Chi può anche solo pensare di irreggimentare e manipolare le sensazioni e le percezioni, a volte inconsce, di una persona che tocca con mano un evento? Neppure i media, credo.
Lo Scout: uno, nessuno, centomila. Ognuno dei ragazzi che hanno vissuto e condiviso la stessa avventura può raccontarvi una storia diversa, 220 storie diverse solo negli ultimi dieci anni. Storie vissute ed esperienze personali che, in modi diversi avranno un piccolo peso nella crescita di ciascuno di loro. E quindi, in definitiva, come rispondere alla domanda: “Che cos’è uno scout?”
Anche il Papa ci si è messo, in realtà più con uno splendido mandato, che con una definizione: ”Siate le sentinelle del Mattino”, bello, bellissimo, magari fosse sempre vero.
Per quanto mi riguarda, mi risulterebbe difficile rispondere con qualcosa di originale. Penso che la miglior risposta resti sempre e solo questa:

Lo Scout e la Guida:
1. Pongono il loro onore nel meritare fiducia,
2. Sono leali,
3. Si rendono utili e aiutano gli altri,
4. Sono amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida e Scout,
5. Sono cortesi,
6. Amano e rispettano la natura,
7. Sanno obbedire,
8. Sorridono e cantano anche nelle difficoltà,
9. Sono laboriosi ed economi,
10. Sono puri di pensieri, parole e azioni.

Che non è altro che la Legge Scout.
Così è, se vi pare.
Condividi questo articolo
FaceBook  Twitter