Ci sono situazioni nelle quali servirebbe una penna che scrivesse direttamente dall’anima per riuscire a descrivere tutte quelle sensazioni, quelle emozioni che ti nascono nei momenti più belli.
Quella penna mi servirebbe adesso, per fare capire a voi lettori quello che ho provato io nell’incontro con Padre Francesco.
Le sue condizioni di salute non buone lo hanno reso un po’ più magro e un po’ più sofferente ma non gli hanno tolto quella voglia di vivere, quel sorriso, quella fantasia nel raccontare le mille avventure dell’Africa. “L’Africa, quando te ne innamori non la lasci più”. L’ha descritta così, come un innamorato descrive la propria amata, il loro amore incommensurabile, immenso.
Padre Francesco ha quel pizzetto di barba bianca che ogni tanto liscia con le mani, mani da lavoratore, da chi nella vita non si è fermato un momento, da chi ha costruito capanne, ha preso in mano libri, ha accarezzato migliaia di volti ed ha cercato di stringere tutte le altre mani.
Padre Francesco è un pozzo di saggezza, quella dei nonni, che hanno mille storie da raccontare e quella dei preti, che ti sanno dire la parola giusta al momento opportuno, lui ride spesso, ride di gioia, lo vedi proprio felice e questa sua felicità è contagiosa, io mi sono fatto quattro risate con lui in questo incontro, abbiamo riso di gran gusto anche se lui non sta bene ma nessuna malattia può fermare una bella risata, sincera.
Padre Francesco parla di malattia e sofferenza nel modo più bello possibile, come le tappe d’avvicinamento alla casa del Signore e ricorda di aver preso la malaria venti o trenta volte, come noi prendiamo il raffreddore. Ma il dolore più grande Padre Francesco lo prova quando ci racconta una brutta avventura durante la guerra civile in Congo, in cui alcuni miliziani lo avevano braccato con fucili e machete, gli avevano messo a soqquadro la casa ma la cosa straordinaria è che nel suo racconto non c’erano parole di sofferenza per lui ma per Gesù, che ha sofferto chissà quante volte di più nel suo patibolo sulla croce, Cristo che ha subito l’abbandono di tutti gli apostoli, Cristo che era rimasto solo nel momento più duro della sua vita terrena. Escono lacrime dagli occhi di Padre Francesco, il dolore di Cristo che si è fatto carico dei nostri peccati, è il pensiero più brutto, poi sorride di nuovo.
E infine tra le tante altre cose che ci ha detto, trova spazio un grande insegnamento: in un suo breve soggiorno in Italia Padre Francesco ha voluto visitare San Petronio a Bologna ed in particolare ha desiderato vedere l’affresco in cui Maometto è nell’inferno e sotto la cui immagine è scritto il suo nome (Mohammed), Padre Francesco ha detto: «Se fossi io il parroco, chiamerei un ragazzo come voi, perchè io sono troppo vecchio, e gli direi di preparare il colore come quello delle pareti di San Petronio, lo manderei su per la scala e gli farei cancellare quel nome, perchè Maometto è il loro capo, come se per noi cristiani mettessero Gesù nell’Inferno». Quel colpo di vernice per padre Francesco è un atto dovuto, un gesto piccolissimo ma importantissimo per creare l’armonia tra cristiani e musulmani, un passo verso la pacifica convivenza tra popoli e culture diverse.
Padre Francesco è stanco e noi lo salutiamo e ci stringe le mani, noi con gli occhi lucidi gli diciamo ciao e gli promettiamo di pensare alla sua Africa. Fuori, al freddo di un tramonto di ottobre, ci guardiamo negli occhi e capiamo di provare tutti le stesse sensazioni, un meraviglioso senso di pienezza.

Albo, Roby, Naldi e Mala
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