In principio era il Nunusaka, il monte mitico, perso da qualche parte nelle foreste di west Seram. Posto al centro delle Confederazione dei tre fiumi, terra dei popoli Alune e Wamele. Dal Nunusaka, uscirono gli uomini che si sparsero per l'arcipelago attraverso le mille isole delle Molucche a popolare l'umanità. ‘Nusa Ina’, l’isola madre. Quando il mito s'intrecciò con la storia, allora arrivarono gli Europei a cercare le Spezie, ricchezza e maledizione, miraggio e follia. Per noi oggi l'isola di Seram, persa nell’estrema Indonesia orientale, è il luogo dove iniziare una nuova storia, una storia di acqua e roccia, inseguendo grandi fiumi sotterranei tra foreste e antiche carte della Compagnia delle Indie.
Che Seram potesse essere una destinazione speleologica è una vecchia idea che mi era entrata in testa dalla fine degli anni '90, in particolare dopo aver visto una carta geologica che riportava 'limestone', calcare, roccia buona per sognare di grotte, per tutta la possente dorsale che attraversa l'isola superando i 3000 metri. Negli stessi anni, speleologi inglesi e australiani, ebbero la medesima idea, ma furono più rapidi nell'attuarla. E' cosi che nel 1998-99 sono loro a far nascere Gua Hatu Saka, la grotta più profonda dell'Indonesia. Forse non profondissima, -400 metri circa, ma maestosa nell'essere una sequenza di due enormi pozzi da quasi 200 metri l'uno. Quando lo scopro leggendo International Caver, la sensazione è un misto di soddisfazione e rabbia. Il posto era buono non c'è dubbio, la grotta continuava, fermati da troppa acqua. Poi le Molucche hanno avuto cose più serie che parlare di grotte. Una lunga guerra civile ha impedito ogni progetto. Questo fino agli ultimi anni. E' cosi, nonostante il gruppo di partecipanti alla fine si riduca a solo due, decidiamo con Guido, di andare a dare ugualmente un occhiata sul posto, dopo tante notti passate a ragionare su carte e foto satellitari. Due gli obbiettivi della perlustrazione: il primo raggiungere le zone alte della catena montuosa chiamata Manusela Range. Qui le cime superano i 3000, e potenzialmente ci potrebbe essere lo spazio per la grotta più profonda del mondo. Posti così in giro non sono tanti, capire se esistano grotte in alta quota che ci possa far sognare è il nostro obbiettivo. Il secondo punto è andare a vedere se dicono il vero le foto satellitari che ci mostrano un grosso fiume che sembra scomparire nel nulla nella parte occidentale dell'Isola. Anche qui la zona è completamente inesplorata speleologicamente. A casa un mese sembra sempre tanto tempo, poi quando sei in foresta, tra acqua e fango, t'accorgi che probabilmente non basterà a fare molto. Ci accordiamo con il Parco Nazionale di Manusela per permessi e un minimo d’aiuto logistico, ma le zone alte sono veramente lontane. Cinque giorni di cammino non ci bastano per raggiungere uno degli altopiani che avevamo identificato. Giriamo nelle zone sommitali di q.3000, intorno al monte Binaya. Il posto è spettacolare, poco esplorato anche geograficamente, e sicuramente molto poco frequentato. Il calcare non manca, e anche le forme carsiche ci sono, magari mancano gli ingressi delle grotte. Considerata la lontananza avevamo sperato in qualcosa di più facile da identificare una volta sul posto. Dire se c'è o non c'è qualcosa di significativo non è facile. Si dovrebbe rimanere in zona per molto tempo, inoltre neanche i locali vengono da queste parti, quindi chiedere non funziona neanche per scoprire i nomi delle montagne. Tanto chi le vede, per buona parte del tempo sono immerse nella nebbia. Identifichiamo alcuni piccole grotte fino a q.2800, forse spostandosi di alcuni giorni di cammino verso ovest le cose potrebbero migliorare, cerchiamo di capire le possibili vie d'accesso, ma per questa volta abbiamo altri quattro giorni di cammino per tornare alla prima strada. Abbiamo portato con noi cibo solo per una dozzina di giorni ed è ora di cominciare a scendere. Come al solito, le segnalazioni utili compaiono quando sei sceso. Cosi nel villaggio di Kaniketh ci raccontano di Way Uaulè, una cascata che esce dal 'corpo della montagna'. Un posto in cui si può entrare, nella valle che divide il monte Binaja dal monte Murukele, posto sacro per gli abitanti. Pare che dietro la cascata ci sia anche la grotta, o cosi ci piace capire, in una sequenza di traduzioni da una lingua all'altra. Peccato che ora noi si sia giù e lei sia rimasta su. Qui tutto si misura in giorni di cammino, quasi sempre molti e incerti. Decidiamo quindi di buttarci sul secondo obbiettivo, nella parte occidentale dell'isola, apparentemente più comodo, sicuramente più in basso come quota. Alcuni giorni dopo, una volta lasciato il villaggio di Taniwell sulla costa e persi nella foresta risalendo il fiume Sapalewa, cominciamo a pensare che a Seram non ci siano cose vicino alla strada. In teoria la parte occidentale dell'isola non è neanche calcarea, o almeno le carte geologiche non lo sanno. I nostri dubbi si sciolgono difronte alle montagne a cono di Hatu Tosiwa e alle pareti del Towile Bou Bou. Il calcare c'è eccome, e anche per parecchi chilometri. Anzi si tratta probabilmente di una zona carsica di almeno 500 km2. Un carso a ‘coni’ che parte dal mare e sembra raggiungere i 1200-1400 metri di quota. L'unico dubbio che ci portiamo dietro risalendo il Sapalewa e se ci farà lo stesso scherzo del monte Binaja, o se questa volta il calcare si lascerà scavare dal grande fiume che sembra attraversare la montagna. Quando dopo un paio di giorni di cammino ci troviamo difronte all'uscita del fiume le risposte sono superlflue. L’ingresso c'è, il problema è che con oltre 60 metri cubi d'acqua che escono, la situazione c'appare simile a quella vissuta da inglesi e francesi nelle gigantesche grotte di Nare in Nuova Guinea. Un incubo fatto di rapide e acqua bianca. Siccome abbiamo lasciato a casa il cannone lancia arpioni per passare sull'altra sponda del fiume, siamo obbligati a fermarci alla prima cateratta, quasi stessimo risalendo il Nilo. Il fiume che esce è largo oltre 20 metri, profondo molto più di due, e corre parecchio. Anche sull'altro lato del monte, dove il fiume entra, le cose non migliorano. Il fiume precipita in fondo ad una gola enorme, in un portale alto circa un centinaio di metri. Di seguirlo camminando non se ne parla. Se solo pensi di metterci un piede dentro, già ti ritrovi al mare. Non a caso Sapalewa in lingua locale vuol dire 'grande fiume'. Tra i due ingressi, la grotta, enorme, inesplorata, percorsa da uno dei fiumi sotterranei più grandi del pianeta. Abituato alle grotte tropicali trovate in Laos, comodi posti per vecchietti, enormi, ma dove cammini pigramente o nuoti a dorso tipo piscina anche quando sono piene d’acqua, questo posto mi lascia vagamente perplesso e intimorito. Acqua bianca, rapide da fiume selvaggio, cattive, molto cattive. Per percorrere questa grotta e anche solo attraversarlo ci sarà da faticare parecchio. Nei periodi di magra pare che non ci si possa sperare, siamo già nella stagione secca, quindi appare molto improbabile che qualche essere umano autoctono abbia mai avuto l'insana idea di entrarci. Mentre risaliamo la vallata, tra un sentiero e una fangaia finiamo a camminare su una strada lastricata, una massicciata in pietra alta diversi metri. Ormai completamente spersa nella foresta. Sonny, la guida che ci ha indicato il Re del villaggio di Taniwell, ci dice che si tratta di una delle antiche strada olandesi che collegavano le due coste dell'isola. Difficile dire quando sia stata costruita. Qui gli Olandesi hanno preso il potere alla fine del '600 e se lo sono tenuto per tre secoli. A questo punto ci ronza in testa un pensiero. Percorrerlo 'no', ma conoscerlo 'si'. Vuoi vedere i gli antichi governatori di Seram, i funzionari della VOC, la compagnia delle indie orientali, ne sapevano più di noi? Una volta tornati usciti dalla foresta e tornati alla ‘civiltà’, ci buttiamo nella ricerca delle antiche carte coloniali. Alcune l'avevamo già trovate per la zona delle montagne centrali, c'erano sembrate utili per la toponomastica, ma per la parte occidentale dell'isola non le avevamo considerate utili. Sbagliavamo di grosso. Battere e levare, le cose si perdono e si ritrovano. E' cosi dopo oltre cento anni sulle antiche carte di fine '800 e dei primi del '900 ritroviamo nella leggenda una curiosa dicitura O.L. sciolto come 'Onderaardesche loop' che in olandese si legge 'corso sotterraneo'. Sulle carte, sparse nei pressi del fiume Sapalewa e non solo, tante piccole sigle O.L. fanno capolino tra un fiume e l'altro, punteggiando le montagne di West Seram e raccontandoci di tanti enormi fiumi che entrano ed escono dalle montagne come giocassero a nascondino. Non c'è che dire, facciamo i nostri più sentiti complimenti ai topografi dell'epoca, in particolare alla spedizione che per ultima topografò l'Isola dal 1917 al 1922. Fortuna per noi che tutto questo poi sia stato dimenticato. A questo punto non ci resta che tornare in Italia per prendere alcuni chilometri di corde e organizzare una buona banda d’esploratori. Le isole delle Spezie ci vedranno ancora, la storia è appena iniziata.

Andrea Benassi
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