Ecatombe arborea

La parola ecatombe deriva dal greco: era l’offerta sacrificale alla divinità di cento buoi, numero esorbitante, eccessivo, uno spreco, una strage insomma.

In queste settimana si sta realizzando l’ecatombe della vegetazione che accompagna molti corsi d’acqua del nostro comune. Rio di Pagnano, rio di Casola, rio Crette, rio Buratta, ecc.

Pioppi enormi, salici imponenti, ontani, sambuchi e altre specie che amano l’umidità e l’acqua.

Questa vegetazione, chiamata perifluviale perché accompagna il letto dei corsi d’acqua, ha ruoli molto importanti per gli ecosistemi acquatici e contribuisce a rendere più efficiente il loro potere di auto depurazione. Quest’ultimo è fondamentale per evitare l’eutrofizzazione cioè l’eccesso di alghe sia nei fiumi di pianura che nel nostro Adriatico, mare piccolo, con scarse correnti e tanto turismo. Il  grado di funzionalità di un fiume come di un rio secondario viene infatti valutato da un insieme di parametri e fra questi la vegetazione è al primo posto.

A livello nazionale è stato messo a punto l’Indice di funzionalità fluviale che permette di valutare lo stato complessivo dell’ambiente fluviale e la sua funzionalità attraverso l’esame  di numerosi aspetti come microhabitat, periphiton, vegetazione acquatica, diversità ambientale, regime idraulico, effetti della cementificazione dell’alveo.

Perché la presenza degli alberi e degli arbusti specializzati a vivere negli ambienti umidi è così importante? Proviamo a elencare i motivi. Primo: gli apparati radicali, che spesso entrano fino dentro all’alveo, catturano i detriti minerali e organici. Quelli minerali, sabbia, ciottoli, ecc. si sedimentano e non continuano la loro corsa fino alla pianura mentre quelli organici possono essere decomposti più facilmente dagli organismi acquatici.

Secondo:  le fronde con la loro ombra fanno sì che d’estate la temperatura dell’acqua tende a non alzarsi troppo. In questo modo  di ossigeno disciolto ne resta di più a disposizione di quella popolazione di piccoli animali e di pesci che ne popola le acque. E’ dal loro lento e paziente lavoro che tutta la sostanza organica, dalle foglie, alle carcasse, agli scarichi delle nostre abitazioni viene degradata e rimessa in circolo per essere di nuovo, una volta semplificata come sali minerali, riutilizzata dalle piante senza dover finire nell’Adriatico ad alimentare alghe e mucillaggini.

Terzo: questa vegetazione che vive a ridosso delle rive fa da tampone intercettando i nutrienti, sali azotati soprattutto, prima che giungano nell’acqua. Quarto: alberi e arbusti creano habitat per le specie animali, uccelli, anfibi, rettili, che hanno un ruolo importante per la biodiversità.

Dopo le alluvioni del maggio ‘23 e del settembre ’24 a questa vegetazione è stata imputata la responsabilità di aver creato esondazioni e disastri.

Il parere di chi si occupa di idraulica è andato in conflitto con quello di chi si occupa di qualità dell’acqua e degli ambienti. Hanno vinto i primi e si sta procedendo con massicci tagli di alberi e arbusti che crescevano a ridosso del Senio come dei suoi affluenti. Va detto che il taglio e il modellamento artificiale dell’alveo che spesso ne consegue realizzato con gli escavatori è stato fatto in modo puntiforme nei pressi di attraversamenti, di ponti o altre opere e non in modo diffuso.

Io non ho competenze per giudicare la necessità di questi interventi ma qualche domanda viene spontanea.

Intanto una constatazione: il legname trascinato dalle piene che scende a valle fino a inzuccarsi nelle campate dei ponti, scalzandone le spalle o finendo con l’ostruire l’alveo che tracima, è per la stragrande maggioranza composto da legno morto. Alberi interi e vivi ci sono, ma decisamente molto  più rari.

Il lavoro che si sta facendo adesso comporta anche l’allontanamento dall’alveo dei tronchi morti ma a monte dei rii come del fiume ne restano quantità immense pronte un po’ alla volta o, a seconda dell’intensità della pioggia, anche più velocemente, a rotolare a valle.

Il problema infatti è che da sessant’anni nessuno raccoglie più la legna dal fiume. L’ultimo che ricordo lo chiamavano Sintì e più di vent’anni fa lo vedevi salire da via Soglia  con un fascio di legna sulle spalle che portava da bruciare nella cucina economica o nel camino. Ricordo anche che mio babbo mi raccontava quando prima della guerra, durante le piene, c’era chi a bordo fiume si attrezzava con lunghi uncini per arpionare i tronchi in transito così da poterli utilizzare.

Oggi sembrano favole.

La legna che si trova lungo i corsi d’acqua è intrisa d’acqua quando non già in parte decomposta ed è pessima per qualsiasi utilizzo. Se non in tempi di miseria.

E’ cambiata la società soprattutto dal punto di vista dell’approvvigionamento delle risorse energetiche. L’avvento dei combustibili fossili ha ridimensionato, tanto da ridurlo a zero, la raccolta di legname lungo i fossi. Prima era vietato ma è da qualche anno che la regione ne autorizza la raccolta soltanto per uso personale e fino a un massimo di 250 quintali. Sinceramente io non ho mai visto nessuno farlo ma può darsi che non me ne sia accorto: cammino poco lungo gli argini.

E’ cambiata la società e se nessuno raccoglie più legna nemmeno  nessuno pascola più il bestiame lungo i fossi. Erano le vacche e le pecore che brucando le foglie e i ricacci della vegetazione la contenevano naturalmente.  Infatti un’altra domanda è: dopo questa manutenzione straordinaria della vegetazione lungo i corsi d’acqua, chi la controllerà con interventi cadenzati di manutenzione ordinaria? Altra domanda: ma tagliare tutta la vegetazione non vuol dire che in quei tratti privi di scabrezza la velocità della piena aumenta con le conseguenze immaginabili a valle?

Cambia la società e cambiano i modi di gestire indirettamente l’ambiente. E’ un discorso vasto che ci porterebbe lontano e che dovrebbe partire innanzitutto dalla cementificazione, il cosiddetto consumo di suolo. A inizio mese l’ISPRA ( istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha presentato il rapporto nazionale annuale su quanto terreno è passato da agricolo o naturale ad artificiale ( aree industriali, infrastrutture, parcheggi, abitazioni, ecc.). Purtroppo in assenza di una legge nazionale efficace il dato è allarmante: in Italia nel 2022/2023 se ne sono persi 2 metri quadrati ogni secondo.

La provincia di Ravenna è al primo posto in Italia per consumo di suolo fra i comuni con più di centomila abitanti: 89,06 ettari, più  di tutto il territorio comunale di Casola.

Il suolo artificiale perde tutte le sue funzioni ecologiche. Non trattiene più l’acqua piovana ma la fa scorrere velocemente aumentando il rischio idraulico, peggiora il microclima che si scalda con più facilità, scompare la biodiversità. Ed è un fenomeno irreversibile.

 

di Roberto Rinaldi Ceroni