I PRIMI ANNI DELL’A.C. CASOLA

Questa volta non è una vecchia foto a stuzzicare in me l’onda dei ricordi, bensì una recente rimpatriata di tutti i protagonisti dei primi anni della gloriosa A.C. Casola che si sono ritrovati dopo oltre 40 anni.

I miei ricordi partono dal 1968, anno in cui diventai casolano; in quel tempo a Casola non esisteva nessuna società sportiva. Quella di calcio nata negli anni Cinquanta si era sciolta proprio l’anno prima. In quegli anni  potevi giocare a calcio liberamente con gli amici, organizzare saltuarie partite e partecipare a qualche torneo estivo, ma se volevi impegnarti in campionati riconosciuti dalla FIGC, dovevi trasferirti in squadre di altri paesi. A Casola si sentiva dunque un forte bisogno di calcio, lo sentivano gli adulti che giocavano fuori, ma anche i bambini che non avevano nessuno che insegnasse a giocare a calcio e permettesse loro di farlo rappresentando una squadra. Poi lo sentiva sicuramente anche quel pubblico così appassionato che seguiva numeroso le squadre casolane partecipanti ai vari tornei estivi.

Di tutto questo si accorse l’Amministrazione Comunale: Paolo Cavina e il sindaco Gianpaolo Sbarzaglia iniziarono a darsi da fare per costituire una nuova società. Entrarono in relazione con il distributore ufficiale della Lenco, marchio di apparecchiature elettroniche  che  stava costruendo una casa di sua proprietà a Casola. Non ho mai conosciuto di persona questo signore che ho sempre sentito chiamare Lenco e che sarebbe diventato sponsor e primo presidente della nuova società. Sbarzaglia e Cavina a questo punto convinsero un buon numero di persone a essere parte attiva della nuova società; i più in vista erano il vicepresidente Giuseppe Benericetti, la segretaria Marinella Spada a rappresentare il Comune e il cassiere Gianfranco Mariani in rappresentanza della Pro Loco. Per completare l’opera bisognava dal nulla costruire la squadra. Molti erano i casolani che avevano fatto esperienza giocando liberamente e nei tornei, altri che avevano interrotto da qualche anno le esperienze fatte in altre squadre: penso che  ognuno di loro non vedesse l’ora di essere chiamato a giocare per il Casola. Quindi per fare una squadra subito competitiva bisognava fare rientrare i casolani che giocavano fuori. Vennero così acquistati dal Riolo, per 150 mila lire, Franco Albonetti, Ivano Suzzi, Giordano Cavina e Sergio Spada. Quest’ultimo, sempre prodigo e pronto alle battute, quando venne a conoscenza della chiusura della trattativa, commentò: “Cavolo, siamo costati meno della carne di bassa”. Anche Giampiero Dall’Osso decise di interrompere il suo rapporto con il Riolo per giocare con il Casola ed essendo proprietario del suo cartellino poté farlo senza che il Riolo potesse manifestare alcuna pretesa. Io e Giordano Cenni, che come gli altri casolani giocavamo per il Riolo, continuammo a farlo anche nella stagione successiva. Per quanto mi riguarda i motivi di questa scelta furono, in primo luogo, che Leonardo, mitico dirigente riolese, avendomi acquistato dal Faenza soltanto l’anno prima, mai avrebbe acconsentito a una mia richiesta di trasferimento. E poi non avrei mai abbandonato Diego, avendo scelto di giocare a Riolo soprattutto per lui in quanto si distingueva dalla grande maggioranza degli allenatori di quel tempo, che si limitavano a  distribuire le maglie con i numeri e a fissare le marcature. Diego sapeva come migliorare i giocatori ed era capace di dare un gioco offensivo alla propria squadra.

Per poter partire con il campionato a Casola c’era ancora bisogno di preparare lo spazio per il  pubblico. Occorreva costruire i gradoni per sistemare i tifosi, cosa che fecero tanti volontari tra cui molti futuri giocatori, muniti di zappa, vanga e badile, guidati da Ugo Rivola, personaggio tra i più importanti di tutta la storia della società, dirigente, allenatore in seconda di Diego, per tanti anni allenatore delle giovanili, massaggiatore della prima squadra, sempre pronto a sostenere moralmente i giocatori in difficoltà e tutto questo per pura passione senza pretendere nulla in cambio.

Il sindaco Sbarzaglia e Paolo Cavina avevano realizzato così la rinascita della società di calcio, con risultati che andranno oltre le più rosee aspettative. Grande entusiasmo e spirito di appartenenza di giocatori e dirigenti, imponente seguito di pubblico, tanto che le società avversarie non vedevano l’ora di incontrare il Casola per fare l’incasso dell’anno. Grazie poi a personaggi come Diego, Ugo e i dirigenti, dopo qualche anno Casola avrebbe avuto un fiorente settore giovanile, vincente sul campo e nel produrre continuamente giocatori per la prima squadra.

L’annata 1978/79 era pronta a partire con il Casola che si sarebbe da subito rivelato protagonista. Come allenatori che avrebbero dovuto fare anche i giocatori vennero scelti gli esperti ex riolesi Albonetti e Suzzi, con quest’ultimo che ben presto declinò l’incarico in quanto desideroso di non avere pensieri oltre al giocare. All’inizio della preparazione le porte erano aperte a chiunque lo volesse, certi che la rosa della squadra si sarebbe formata con il tempo attraverso una selezione naturale.

La squadra si comportò così bene che finì il campionato al primo posto a pari merito con il Modigliana. Per conoscere la squadra vincitrice del campionato ci sarebbe quindi voluto uno spareggio, che si disputò allo stadio Bruno Neri di Faenza.

Nelle ultime partite la squadra aveva denunciato un preoccupante calo di rendimento, con molti giocatori apparsi fuori forma. L’allenatore e il medico, decisero allora di intervenire. Franchino il giorno prima della partita portò la squadra ad ossigenarsi al passo della Sambuca. A quel tempo si era soliti parlare di ossigenazione in montagna, mentre qualche tempo dopo, studiando all’ISEF, scoprii che in realtà l’ossigenazione si faceva al mare. Il dottor Isola invece decise di fare una flebo ricostituente ad ogni giocatore la mattina prima della partita. Gli interventi si rivelarono azzeccati.

Dopo un primo tempo conclusosi sull’uno a uno con rete di Lasi a seguito di un colpo di testa di Spada non trattenuto dal portiere (Agricoli in azione) nella ripresa si scatenò Mauro Dardi, il quale realizzò una tripletta, trascinando così il Casola alla vittoria della partita e del campionato, con conseguente  promozione in Seconda categoria.

Quel giorno ero presente alla partita e decisi che avrei fatto di tutto per giocare la prossima stagione insieme ai miei amici, per il paese che sentivo mio e per quel pubblico così numeroso e appassionato. Per riuscirci dovetti aspettare tutta l’estate. Nel campionato appena concluso giocando per il Riolo mi ero comportato molto bene, raddoppiando il numero di reti segnate l’anno precedente, e Leonardo non aveva nessuna intenzione di cedermi, ma con la rinuncia di Diego a rinnovare l’impegno di allenatore non c’era più niente che mi trattenesse. Mi inventai che, iniziando l’ISEF, il sindaco di Casola mi avrebbe permesso di lavorare in palestra e successivamente in piscina, soltanto se fossi diventato giocatore del Casola, ma  a Leonardo la cosa non interessava e continuava a tenermi vincolato. Nonostante fossi ancora tesserato per il Riolo, iniziai comunque la preparazione con il Casola, partecipando anche alle prime amichevoli. Ero ormai irremovibile: o Casola o non avrei giocato per nessuna altra squadra. Leonardo allora capì e si mise a disposizione per la trattativa, con il principale intento, a quel punto, di realizzare quanto più denaro possibile dalla mia cessione.

A Casola nel frattempo erano successe un po’ di cose. Franco Albonetti aveva comunicato che non avrebbe continuato ad allenare e al suo posto venne ingaggiato Dalmonte che io avevo avuto come allenatore nelle giovanili del Faenza. Il primo calciatore ad essere acquistato fu Benedetti, un centrocampista offensivo che con le sue giocate per qualche anno avrebbe deliziato il pubblico casolano. Ma la squadra dovette subire tre importanti defezioni: Franchino oltre a non continuare come allenatore aveva deciso anche di non farlo come giocatore, Mauro Dardi (l’uomo della finale) aveva ugualmente deciso di non continuare a giocare per il Casola a causa dei dissidi con il Presidente e si era accordato con il Riolo e anche Sergio Spada, che aveva subito un grave infortunio al ginocchio e doveva essere operato, non poté dare l’ok. Sergio era un difensore molto forte che in ogni campionato garantiva, oltre ad un ottimo rendimento, anche un certo numero di gol, la maggior parte dei quali segnati di testa.

Il Presidente Lenco prima dell’inizio della nuova stagione abbandonò la carica. Non sono a conoscenza dei motivi, ricordo però che gli successe Giuseppe Benericetti e che giocammo il nuovo campionato con il nome “Lenco” cancellato dalle maglie.

A pochi giorni dall’inizio del campionato Mariani mi diede la notizia di avere concluso la trattativa,  sicuramente più dispiaciuto per i soldi spesi che contento per avermi acquistato. La prova di questo l’ho avuta  quando ci siamo rivisti dopo tantissimo tempo alla rimpatriata e il suo primo commento è stato “Ce sté la me arvena!”. Io invece ero felicissimo per essere finalmente un giocatore del Casola.

Ci apprestammo così ad iniziare il nuovo campionato di Seconda categoria, che era di un livello qualitativo nettamente superiore alla Terza.

La prima in casa con il Rumagna, che pareggiammo 1 a 1 con gol di Suzzi, fu una buona partita che però probabilmente non soddisfò il mister, tanto che a un certo punto, pur non facendolo da almeno  sei anni, decise di entrare in campo in sostituzione di uno di noi. Nelle prime due partite ero molto carico e ben predisposto, ma pur battendomi con impegno ero molto isolato in avanti ed era molto complicato riuscire a crearsi occasioni per segnare. La terza partita era il derby con il Riolo, che io non giocai perché impegnato con gli esami di ammissione all’ISEF.

Il risultato delle prime tre partite era che avevamo soltanto un punto e che agli occhi di tutti eravamo la principale candidata alla retrocessione. La società decise di correre ai ripari, sostituendo l’allenatore con Diego che forse non aspettava altro. Il nuovo mister convinse immediatamente Giordano Cenni a seguirlo e Franco Albonetti a tornare a giocare. Pur essendo dispiaciuto per Dalmonte, che era una bravissima persona, ero molto contento di ritrovarmi un compagno con il quale interagivo a meraviglia e un allenatore che amava il calcio offensivo e che sapeva dare un’identità di gioco alla propria squadra. Con Giordano avrei avuto un compagno che avrebbe giocato vicino a me e Diego avrebbe fatto salire il baricentro della squadra, così che non mi sarei più sentito isolato in avanti. La domenica successiva a Casola pur perdendo 3 a 2 giocammo un’ottima partita e io su traversone di Francesco Cavallari realizzai in semirovesciata uno dei miei più bei gol di sempre. Iniziammo così ad essere una nuova squadra, più offensiva e determinata, ma il percorso fu più in salita di quello che ci aspettassimo, colpa anche dell’infortunio occorso a Franchino dopo poche partite, che ci privò di un giocatore indispensabile per il gioco di Diego, capace di interpretare il ruolo di centromediano metodista con caratteristiche che non appartenevano a nessun altro giocatore della rosa.

Arrivammo così e al temine dell’andata con 8 punti soltanto, per poi perdere anche le prime due del ritorno. Alla terza ci aspettava, questa volta a Casola, il derby con il Riolo, che si trovava al  secondo posto della classifica. Ricordo bene le critiche dei tifosi scritte in un articolo sullo “Specchio” dove esprimevano il desiderio di cambiare la maggior parte dei giocatori, me compreso. Fu per me una settimana particolare: il mio pensiero era spesso rivolto a quella partita e sentivo dentro di me una rabbia positiva, che mi trasmetteva una grande fiducia. La domenica mattina mi svegliai con la febbre, ma niente mi avrebbe fermato. Giocammo una grande partita che vincemmo 2 a 0. Piero parò tutto, Pietro Cantagalli annullò il loro miglior giocatore, un ex professionista che era anche il loro allenatore, e io realizzai entrambi i gol. La sera avevo la febbre a 39° e per tutta la settimana dovetti rimanere in casa senza potermi allenare. Non pensavo quindi di giocare la partita successiva, ma Diego mi disse che sarei dovuto andare e che avrei giocato dall’inizio. Ci ripetemmo alla grande, vincendo anche in trasferta contro il Ribelle per 2 a 1, stavolta con doppietta di Giordano. La domenica dopo avremmo giocato in casa contro il San Pancrazio, squadra che avevamo già battuto all’andata, e vincendo avremmo potuto in 3 partite realizzare 6 punti, quando ne avevamo fatti 8 nelle prime 15. Il destino però volle che a causa del maltempo tutte le partite di quella giornata fossero rinviate e messe in coda al calendario. Quella sosta non ci fece bene, tanto che nella trasferta di Solarolo giocammo veramente male e venimmo battuti per 2 a 1. Con quella sconfitta tornarono il malumore e le critiche. Stavolta il giornale uscì con una critica pesante nei nostri confronti: venimmo definiti giocatori senza testa e senza cuore. La nostra reazione di pancia fu quella di rispondere con un articolo a quelle critiche che ritenevamo ingiuste, ma poi razionalmente decidemmo che la risposta l’avremmo data sul campo.

Nelle restanti 8 partite infatti ne vincemmo 3 e 4 le pareggiammo, perdendo soltanto in casa del Borello, squadra poi vincitrice del campionato.

La dimostrazione di testa e cuore la demmo a Savio, contro una squadra forte che si trovava al terzo posto in classifica con ancora la possibilità di vincere il campionato. Era aprile ed era il giorno della Festa di primavera a Casola, ricordo che avevamo pochi tifosi al seguito, ma che poi arrivarono in massa perché la festa era stata stata rinviata per il maltempo. A Savio era una giornata di pioggia e tirava un vento forte e freddo, iniziammo la partita giocando contro vento e  dopo mezz’ora perdevamo già 2 a 0. Ricordo che verso la fine del primo tempo riuscii ad intuire un loro retropassaggio al portiere che anticipai, segnando il 2 a 1. Nel secondo tempo, a favore di vento, giocammo con grande carica, tenendo gli avversari nella loro metà campo e riuscendo a pareggiare con Giordano Cenni. Fu un grande risultato, ottenuto giocando una grande partita, e ricordo che nel rientrare nello spogliatoio avevo i muscoli mandibolari anestetizzati dal freddo e

che non riuscivo a parlare. Piero, il nostro portiere, che a differenza nostra non doveva correre, era come paralizzato, tanto da non riuscire a svestirsi.

A due giornate dalla fine del campionato per essere certi della salvezza avremmo dovuto vincere entrambe le partite, l’ultima in calendario contro il Pinarella e il recupero con il San Pancrazio.

Entrambe erano in programma a Casola, davanti al nostro pubblico.

Ormai Diego aveva trovato la quadra e ci aveva trasformato in una vera squadra che poteva giocarsela contro ogni avversario, anche senza il metodista. Davanti a Piero agivano Pierino Malavolti come libero e Gian Carlo Cenni come stopper,  Francesco Cavallari Francesco era il terzino destro e Giuseppe Cantagalli quello sinistro; Pietro Cantagalli era il centrocampista marcatore e flangiflutti, Oriano Begonia si alternava con Roberto Sangiorgi come centrocampista di destra, mentre Ivano Suzzi era quello di sinistra. Davanti agivamo io e Giordano come punte con dietro di noi Benedetti  nelle vesti di centravanti arretrato. Con Benedetti e Giordano mi trovavo particolarmente bene, eravamo un trio veramente affiatato che riusciva ad interagire perfettamente e in quelle ultime partite fummo veramente incontenibili. Con il Pinarella vincemmo 2 a 0. Ho un ricordo molto nitido del secondo gol: Benedetti superò sulla sinistra il suo avversario involandosi verso il fondo per poi, sulla chiusura del libero avversario, servirmi l’assist a pochi metri dalla porta, che io trasformai in gol calciando d’esterno dopo avere anticipato il mio avversario. Con il San Pancrazio vincemmo 3 a 2, risultato bugiardo in quanto dominammo quella partita, con i nostri avversari che senza mai tirare in porta segnarono due gol su rigore, entrambi molto dubbi. Le nostre reti invece furono tutte di pregevole fattura, il primo di Pietro Cantagalli di testa, il secondo di Giordano Cenni che si infilò in uno spazio che gli avevo creato andando a ricevere il solito passaggio invitante di Benedetti; il terzo lo realizzai io, dopo avere ricevuto una palla sulla sinistra mi liberai del mio marcatore e, dopo avere condotto la palla per qualche metro, superai anche il libero per poi battere il portiere in uscita.

Era stato un anno davvero intenso conclusosi con l’avere centrato l’obiettivo, ma il bello era stato l’intero percorso, pieno di difficoltà ma affrontate con tanto impegno e giocando l’uno per l’altro, cercando di dare sempre il massimo. In certi momenti ci siamo sentiti un po’ professionisti, abbiamo fatto allenamenti di rifinitura il sabato pomeriggio e sempre prima delle partite ci siamo ritrovati al mattino, per poi pranzare tutti insieme, rigorosamente a base di riso in bianco. Ho ricordi molto piacevoli degli ultimi ritrovi fatti a Sasso, ospiti degli Isola, associati a bellissime partite.

Alla fine di quel campionato iniziarono i festeggiamenti che proseguirono per qualche tempo, con diverse cene e premiazioni. Intanto Diego e la dirigenza stavano già lavorando per costruire un grande Casola, ma questa è un’altra storia.

Maurizio Giordani