Lezioni di civiltà da Strasburgo

Ho trascorso le vacanze di Natale nella splendida cornice di Salisburgo. Appena arrivata in Austria, non ho potuto fare a meno di notare alcuni “segni di civiltà” (come li abbiamo ironicamente definiti io e i miei amici) che denotano una particolare attenzione nei confronti della questione ambientale. Elementi che in Italia spesso mancano o che, laddove presenti, sono distribuiti a macchia di leopardo.
La prima cosa che ci è balzata all’attenzione è la presenza, presso la famosa catena McDonald’s, di un’alternativa vegetale al classico hamburger, completamente assente invece in Italia. Nel nostro Paese c’è stato un tentativo (fallito) di introdurre un burger senza carne nel 2021, ma al momento le uniche alternative veg presenti nel menù sono patatine fritte e insalata. Nel resto d’Europa, invece, le opzioni vegetali vanno alla grande. Certo, qui si potrebbe aprire un capitolo sulla qualità del cibo prodotto e venduto dalla famosa catena statunitense, più volte contestata per l’impatto ecologico causato dai metodi di coltivazione e allevamento necessari ai propri approvvigionamenti. Ma lasciando un attimo da parte questo aspetto, facciamo una riflessione sul significato che ha inserire una o più opzioni vegetali all’interno del menù di una delle catene più famose al mondo. Prima di tutto, c’è la questione ambientale: ne ho a lungo parlato nel numero 81/ottobre 2024, all’interno dell’articolo “Alimentazione Veg – riflessioni dopo Food for Profit”, quindi non mi dilungherò troppo sull’argomento, lasciando a chi lo desidera la possibilità di approfondire il tema attraverso la lettura del precedente contributo, ma mi sembra doveroso nei confronti dei nuovi lettori spendere due parole. È risaputo che gli allevamenti intensivi contribuiscono in maniera determinante alle emissioni di CO2 (secondo i dati della FAO, in una misura pari al 14,5%). Mangiare carne ha quindi un forte impatto a livello ambientale, e uno dei modi che abbiamo per limitare i danni causati dai cambiamenti climatici è proprio quello di limitare il consumo di carne e derivati animali. Credo che un colosso del genere, divenuto emblema della globalizzazione per la capacità che ha avuto di raggiungere ogni parte del globo terrestre, con più di 40.000 sedi, e che solo nel 2024 ha fatturato 6,4 miliari di dollari, abbia la forza economica per poter invertire la rotta e intraprendere la strada del cambiamento, proponendo cibi più sani e a minor impatto ambientale. C’è poi un’altra questione, quella dell’inclusione: sempre più persone decidono di intraprendere un’alimentazione vegetariana o vegana (per ragioni etiche, ambientali, di salute, e chi più ne ha più ne metta). Queste persone si trovano però impossibilitate, in Italia, ad unirsi ad una cena con amici nel famoso fast food. A meno che non si accontentino appunto di un’insalata… Ma perché all’estero è possibile trovare un McPlant e in Italia no? Forse si tratta di un problema culturale, o forse di un tentativo da parte delle istituzioni di bloccare l’ascesa di un mercato in fortissima espansione, a discapito di un altro che, per tradizione e per interessi economici, è sempre stato più “forte”.
A Salisburgo abbiamo poi subito trovato, all’interno di un centro commerciale, una fontanella per riempire le borracce, e un’altra interamente riservata ai nostri amici a quattro zampe. E da qui è subito scaturita una seconda riflessione: il consumo di plastica monouso è ancora troppo alto e bicchieri e bottigliette sono ancora utilizzati da tantissime persone (privati e attività commerciali). E pensare che portare con sé una borraccia sarebbe così semplice, economico e vantaggioso per l’ambiente! Per incentivare questa abitudine c’è però bisogno di garanzie circa la possibilità di trovare acqua potabile a disposizione in ogni città. La ricerca di una fontanella dove riempire la borraccia diventa a volte un’impresa tanto ardua da costringere alla resa e dirottare anche il più convinto ambientalista al primo bar disponibile per comprare una bottiglia d’acqua. A Casola c’è la possibilità di usufruire della Casa dell’Acqua, e in diverse città italiane è possibile trovare soluzioni simili. In Toscana, ad esempio, sono stati realizzati “I Fontanelli”, impianti in aree pubbliche che erogano gratuitamente acqua di rete privandola del cloro attraverso un sistema di filtraggio che la rende in questo modo più gradevole al gusto. Nell’ultimo anno, solo nel basso Valdarno, sono stati erogati oltre 25 milioni di litri d’acqua, per un risparmio pari a 5,4 milioni di euro e 680 tonnellate di plastica. Nell’estate del 2019 un gruppo di ragazzi dell’Isola d’Elba si è chiesto come fare ad avere la borraccia sempre piena, evitando così di ricorrere all’acquisto di acqua in bottiglia. Ne sono nate una app e una mappa interattiva per trovare facilmente, in tutta Italia, i punti d’acqua pubblici e privati più vicini: il progetto “Refill Now” ha come obiettivo quello di facilitare l’accesso ai punti d’acqua, incentivando le persone a utilizzare le borracce, riducendo il consumo di plastica e le emissioni di CO2.
 
Un’altra importante presenza all’interno dei supermercati austriaci è rappresentata dalle macchinette per il ritiro dei “leergut”, ossia dei recipienti vuoti. Bottiglie di vetro e plastica possono essere conferite all’interno di ogni supermercato, in cambio di uno scontrino che ti dà diritto, alla spesa successiva, ad uno sconto. Queste macchinette sono presenti non solo in Austria, ma anche in altri paesi del nord Europa (come Paesi Bassi e Germania) e nelle grandi città rappresentano anche una forma di aiuto nei confronti dei più bisognosi: molti “donano” bottiglie vuote o scontrini per aiutare chi ha bisogno a guadagnare qualcosa grazie a questo sistema. Un tempo la pratica del vuoto a rendere era diffusa anche in Italia, ma è stata presto sostituita da consumi rapidi, usa e getta. Oggi il nostro Paese è al primo posto in Europa e tra i primi al mondo per consumo di acqua in bottiglia. La campagna “A buon rendere”, anche alla luce del Regolamento UE sugli imballaggi (Direttiva sulle plastiche monouso o PPWR) approvato il 24 aprile 2024 che prevede l’obbligo per i paesi dell’Unione di conseguire al 2029 un target del 90% di intercettazione delle bottiglie in plastica e delle lattine, ha lanciato la proposta di tornare alla buona pratica del vuoto a rendere. “Coripet” è un consorzio volontario riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente, che ha lanciato gli ecocompattatori, ossia macchine per la raccolta delle bottiglie e il riciclo del PET. La grande distribuzione organizzata (cioè i supermercati) è il settore che più ha sposato il modello “Coripet”. Qui le persone possono portare le proprie bottiglie vuote e avviarle a riciclo. A seconda dell’accordo stipulato fra il consorzio e la catena di supermercati, sarà possibile ottenere in cambio buoni spesa o sconti. Ad oggi sono attivi sul territorio nazionale oltre 1500 ecocompattatori. Un altro modo per ridurre plastica e vetro monouso è quello di acquistare (nei pochi negozi che offrono questo servizio) alimenti e prodotti per l’igiene sfusi, in modo da riutilizzare gli stessi barattoli, contenitori e bottiglie, contrastando in questo modo lo spreco.

Sicuramente nel nostro Paese non mancano esempi virtuosi come quelli appena elencati, ma purtroppo in molte città non è ancora possibile usufruire di questi servizi. Queste iniziative andrebbero promosse a livello legislativo con iniziative comunali, regionali e nazionali, ma i cambiamenti partono anche dal basso, e credo che l’educazione abbia in questo un ruolo fondamentale. Fin dalla prima infanzia possiamo insegnare a rispettare l’ambiente e a contrastare gli sprechi. Lavoro come insegnante alla Scuola dell’Infanzia, e posso affermare con certezza che la raccolta differenziata può essere insegnata e vissuta come un gioco fin dai primi anni di vita: i miei bimbi sono bravissimi nel separare carta, plastica, organico e indifferenziata. Basta l’impegno di noi adulti (insegnanti, genitori, nonni, ecc.) nel trasmettere sensibilità e conoscenze sul tema. A tal proposito, grande valore hanno a mio parere progetti rivolti alle scuole organizzati da aziende, enti e associazioni. Il Gruppo Hera, ad esempio, realizza gratuitamente progetti nelle scuole che hanno come obiettivo quello di insegnare ai bambini il rispetto per il nostro pianeta e sensibilizzare al tema dell’inquinamento e della cattiva gestione dei rifiuti. Ci sono poi piccole accortezze che potrebbero essere messe in pratica ovunque, a partire dai piccoli paesi come il nostro: mi viene in mente ad esempio un soggiorno in un hotel di Pienza, in Toscana, qualche anno fa. All’interno della stanza dell’hotel erano presenti i cestini per la raccolta differenziata, in modo che ogni ospite potesse coniugare il proprio soggiorno con la tutela dell’ambiente. Anche altre attività (alberghi, b&b, bar, ristoranti, ecc.) potrebbero seguire questo esempio, e gli stessi arredi urbani dovrebbero essere adattati sulla base di questa esigenza, sostituendo i singoli cestini sparsi per i paesi e le città con cestini del tutto simili ma adibiti alla raccolta differenziata (si veda l’esempio in foto).

Nelle nostre scelte quotidiane dovremmo sempre tenere a mente che non esiste un Pianeta B, che ogni nostra azione ha un impatto sulla nostra stessa vita e che tutti, nel nostro piccolo, possiamo essere importanti agenti di cambiamento. Come sosteneva Mahatma Gandhi, “Be the change that you wish to see in the world”: sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo.

Benedetta Landi