100 anni fa, il Disastro… e il Risveglio
«Il Corriere di Utopia»
Domenica, 16 maggio 2123
100 anni fa, il Disastro… e il Risveglio
Dal nostro inviato a Casola Valsenio – Elia Righini
Per celebrare questo centenario non potevo fare altro che tornare qui, a Casola. Perché quello che oggi chiamiamo – con pomposità e troppa retorica, ma si sa come vanno queste cose – il Risveglio, è cominciato anche e soprattutto in luoghi come questo piccolo paese, che ancora oggi conta le sue canoniche 2.500-3.000 anime. Un successo, perché dopo gli eventi del maggio 2023 si temeva uno spopolamento che avrebbe portato alla morte di questi luoghi. Invece…
Cosa successe 100 anni fa – nei primi 20 giorni di maggio, celebrarne il ricordo il 16 è una convenzione perché quello fu il giorno peggiore, se avesse senso fare una classifica – lo sappiamo tutti: le piogge incredibilmente abbondanti, fiumi e canali esondati già la prima settimana di maggio, le città della Romagna allagate. Poi la seconda ondata dieci giorni dopo, intere città sott’acqua e in aggiunta le frane, i crolli, i cedimenti che sfigurarono queste colline. Oggi facciamo fatica a immaginarlo, ma allora le linee telefoniche dipendevano ancora da attrezzature saldamente ancorate al terreno e un disastro di quelle proporzioni le aveva interrotte completamente. Giorni interi senza avere nessuna notizia da interi paesi. E quando le notizie arrivavano potevano non essere vere, si diffondevano incontrollate su canali social oggi abbandonati ma che in quel disastro ebbero anche una innegabile utilità, quando usati con buon senso. Non potevo non tornare a Casola non solo perché mio padre era originario del paese, ma perché quello che raccontò dopo averlo rivisto, e dopo avere parlato con i casolani, pochi giorni dopo le grandi frane, colpì a fondo la mia immaginazione di giovanotto dodicenne. E non in maniera positiva. Insomma sembrava davvero che fosse l’inizio della fine, per le terre romagnole, della Bassa come della collina. Invece…
Chi oggi ha meno di 100 anni fa fatica a immaginarlo, ma un secolo fa c’era ancora gente che andava in TV (non posso spiegarvi tutto, cos’era la TV lo trovate in qualunque memoria di storia tecno-sociale) dicendo che i cambiamenti climatici sulla Terra c’erano sempre stati e che quindi non dipendevano da inquinamento e attività umane, che occupare le rive di fiumi e mari con costruzioni e strade non portava problemi se si facevano le cose “a regola d’arte” (ma poi la regola la decideva chi aveva interesse a costruire…) e altre amenità del genere. Opinioni che oggi nessuno si sognerebbe di sostenere, neanche in una chiacchierata fra amici. Ed io, che frequentavo il primo anno di quella che si chiamava “scuola secondaria di primo grado”, mi chiedevo: “Ma come, a scuola a noi ragazzetti insegnano l’importanza del rispetto della natura, i danni portati dall’inquinamento, l’importanza della prevenzione, poi questa gente dice tutto il contrario e quando succedono dei disastri ci facciamo sempre cogliere con le braghe calate?”. Questa delle braghe calate è un’espressione da vecchio che mi è venuta adesso, non la dicevo così allora, ma rende l’idea di come era la situazione. Ricordo una frase che mio padre disse ascoltando le notizie la sera di domenica 21 maggio 2023: “Maledizione (l’espressione era più colorita, ma ve la risparmio), faranno il Consiglio dei Ministri per affrontare l’emergenza martedì, neanche domani, perché forse il lunedì serve da decompressione delle feste del weekend. Sono 20 giorni che è iniziato questo disastro e aspettano ancora!”. Un pensiero un po’ qualunquista, populista si diceva allora, oggi me ne rendo conto, ma mi colpì molto perché sembrava davvero che non fossimo in grado di dare una risposta a quello che stava succedendo. Invece…
Invece fu proprio da quel Disastro che nacque il Risveglio di cui oggi celebriamo il centenario. L’ho già detto, in questa parola c’è tanta retorica, forse basterebbe dire che grazie a quegli eventi ci fu una presa di coscienza. Dal letame nascono i fior, cantava uno che ancora andava di moda in quegli anni. Ecco, grazie a quella tragedia capimmo che eravamo sull’orlo del baratro e che solo facendo un bel po’ di passi indietro avremmo salvato non il nostro pianeta – che continuerebbe a vivere anche senza noi che lo calpestiamo – ma l’umanità. Dopo quegli eventi si intervenne con leggi serie sull’inquinamento, sul consumo di suolo, sulla prevenzione e sulla tempestività degli interventi. I governi nazionali e regionali (idem come sopra, cosa fossero le nazioni e le regioni qualcuno se lo ricorda, gli altri lo possono scoprire facilmente studiando la storia) furono costretti, dalla pressione dell’opinione pubblica, a fare quanto era necessario per prevenire questi disastri e per farsi trovare pronti quando non si fosse riuscito a prevenire. Perché proprio il Disastro di Romagna portò questa presa di coscienza? Non lo sappiamo. Non ce lo siamo mai spiegati. Non era certamente stato l’unico evento di questo tipo in quegli anni, anzi. Forse, semplicemente, quegli eventi furono la goccia che fece traboccare il vaso e in molti aprirono gli occhi. Forse, mi piace pensarlo, noi che eravamo giovani allora eravamo pronti a cambiare le cose e quella è stata la spinta che serviva. Forse, mi piace pensare anche questo, Casola contribuì al cambiamento, diventando un caso di studio per l’enormità e l’imprevedibilità di quello che successe.
Ormai non sono più giovane, con i miei 112 anni di vita posso essere considerato anziano anche con l’aspettativa di vita a cui siamo abituati oggi. Ma sono contento di avere visto questo cambiamento, sono contento perché tutta la sofferenza e la paura di quei giorni – vissute attraverso le immagini che arrivavano sugli schermi, le parole angosciate di mio padre al telefono con mio zio, i racconti riportati da Casola – sembravano preludere alla fine. Di un paese, di una comunità, di un mondo che era sempre là, pronto ad accogliermi quando salivamo la collina per andare dai nonni. Invece…