IN MORTE DI PAPA GIOVANNI PAOLO II
Alcune circostanze, in parte casuali, in parte volute, mi hanno portato a Roma in piazza S. Pietro, venerdì 2 Aprile, poche ore prima che Giovanni Paolo II morisse.
La folla gremiva quasi tutta la piazza mentre dalle vie laterali stuoli di fedeli continuavano ad affluire. All’imbocco di via della Conciliazione erano schierate, come batterie di cannoni in postazione, puntate sulla cupola, tutte le attrezzature e le strumentazioni delle televisioni e del circo mediatico mondiale. Gruppi di Papa Boys cantavano e scandivano il nome del Papa. Capannelli di fedeli inginocchiati recitavano il rosario. Molti, moltissimi, semplicemente osservavano e attendevano, forse pregando in silenzio, forse ponendosi qualche perché.
Per qualche ora, assieme a mia moglie, ho fatto parte di questa umanità e mi sono sforzato di capire il senso di quello che stava accadendo, continuando una riflessione iniziata già da alcune settimane, da quanto il Papa è stato colpito dalla infezione virale che gli ha inferto il colpo mortale. Una riflessione sollecitata e tenuta viva dal profluvio, o meglio dalla esondazione di parole che tramite la televisione, la radio ed i giornali ha invaso in questi giorni tutti gli spazi mediatici disponibili.
Di fronte a quanto avviene confesso di sentirmi un po’ frastornato e di provare sentimenti contrastanti.
Da una parte, come cattolico, non posso fare a meno di constatare e di prendere atto, con intima soddisfazione e viva speranza, di quanto sia grande l’interesse e l’ ammirazione che ha suscitato e suscita la figura di questo autentico profeta ed apostolo del nostro tempo: profeta di pace, di amore e di verità, e di quanto profondo affetto abbia circondato e circondi la sua persona. Dall’altra, la ripetizione insistita ed a ciclo continuo delle stesse immagini, degli stessi discorsi, dei medesimi commenti e, diciamolo pure, delle stesse moltissime frasi fatte e di circostanza che gli innumerevoli commentatori riversano ininterrottamente dagli organi di informazione mi suscita qualche perplessità.
Non posso fare a meno infatti di chiedermi quanta autenticità, coerenza ed amore di verità vi sia in tutto ciò e quanto invece attenga alle sole esigenze della spettacolarizzazione e della enfatizzazione a fini puramente mediatici dell’evento, quanto sia dovuto alla cosciente e meditata consapevolezza dei fatti che ci stanno coinvolgendo e quanto invece alla suggestione ed al turbamento provocato da un moto di enfasi collettiva.
Io stesso, lo confesso, in quella piazza non ho potuto sottrarmi alla carica emotiva dovuta alla consapevolezza di stare assistendo di persona ad un accadimento storico a cui tutto il mondo, anche se con diversi accenti, sta rivolgendo la propria attenzione e, conseguentemente, all’impulso, un po’ banale, di documentare e fissare questo momento con un paio di scatti fotografici.
Ma vediamo, al di là di queste riflessioni, magari un po’ troppo sofistiche, di fissare alcuni fatti.
Papa Giovanni Paolo II è stato indiscutibilmente un grande personaggio del nostro tempo, un protagonista che, pagando anche di persona con sofferenze fisiche e mettendo in pericolo la propria vita, ha certamente influenzato alcuni processi storici e contribuito a far crollare, soprattutto in Europa, alcune strutture politiche oppressive ed inique, quali ad esempio l’assoggettamento da parte del potere dell’Unione Sovietica comunista di alcune nazioni dell’est e, fra queste, prima fra tutte, la sua amata Polonia.
E’ stato un profeta vero, che non si è mai piegato alle leggi opportunistiche della diplomazia e che in ogni luogo ed in ogni circostanza, senza troppi riguardi per nessun potente del momento, ha levato alta la sua voce in difesa della libertà, della verità, della pace contro la guerra, dei diritti dei più poveri ed emarginati, degli oppressi e dei più indifesi, a partire dalle forme di vita umana più indifese di tutte e cioè degli esseri nascenti a cui, perché ancora nascosti nel grembo delle madri, e quindi non ancora dotati di una propria palese visibilità, la mentalità materialistica e mondana dominante e prevalente di questo secolo nega ogni diritto ed ogni dignità.
Non ha avuto timore di ammonire i governi ed i governanti iniqui, e neppure quelli democratici, quando palesemente adottavano provvedimenti contrari alla morale e all’etica cristiana, sia sul piano dei diritti umani, sia sul terreno complesso e contraddittorio dei rapporti di forza fra le nazioni e delle iniziative di pace o di guerra.
Non ha avuto timore di ammonire duramente, negli stessi luoghi dove maggiormente affondano le loro radici, le grandi organizzazioni criminali, vedi per tutti il duro richiamo alla mafia durante la sua visita pastorale in Sicilia.
Non ha avuto timore neanche di rivolgere richiami severi e diretti al suo popolo ed ai suoi pastori (a volte ci vuole più coraggio a fare questo) per rimettere le cose sui giusti binari, anche a costo di giocarsi molta parte della sua popolarità, quando ha ravvisato che ci fosse la necessità di correggere tendenze sbagliate o pericolose sul piano della dottrina e della fede.
E’ stato grande perché ha coltivato visioni grandi quali quelle di una Europa che si ritrovasse unita anche nella consapevolezza e nel riconoscimento della grandezza della propria storia e delle proprie origini religiose e culturali.
E’ stato grande come leader carismatico e trascinatore di folle, soprattutto di giovani, a cui sapeva trasmettere tutta la carica emotiva e coinvolgente della propria personalità e della propria fede.
E’ stato grande nella misericordia, una attitudine questa che si manifestava pienamente ed in modo straordinariamente commovente nei suoi rapporti con gli anziani, con i sofferenti e con la tenerezza tutta particolare che riservava ai bambini. Ma è stato grande anche nella forma più difficile e coraggiosa di misericordia, quella cioè che attiene al perdono delle offese: sia quello concesso per le offese ricevute, sia quello (ancor più difficile ed imbarazzante) richiesto per le offese inferte, più o meno consapevolmente, agli altri nel corso di una storia millenaria.
E’ stato grande anche sul piano filosofico, culturale e scientifico. Bisognerebbe che tutti leggessimo il libro scritto recentemente da uno dei nostri più quotati ed illustri fisici nucleari, Antonino Zichichi, Perché credo in Colui che ha fatto il mondo, per prendere atto da una viva ed autorevolissima testimonianza di quanto questo Papa abbia operato per la promozione e la valorizzazione degli studi scientifici.
Ma ora, detto tutto questo, e dopo esserci uniti, per amore di verità e per non essere da meno, al coro unanime dei riconoscimenti, ci è d’obbligo, per non venire meno a quella esigenza di obiettività e di verifica critica dell’autenticità di certe manifestazioni, a cui abbiamo accennato all’inizio di questo articolo, riflettere anche su quali siano le risposte che il mondo ha riservato a questo profeta.
Non gli entusiasmi e gli osanna espressi sull’onda dell’emozione dei grandi momenti, dei grandi raduni, dei grandi eventi, ma le risposte vere, quelle impegnative che coinvolgono nel profondo il nostro animo ed il modo concreto di essere del nostro mondo, o perlomeno della nostra parte di mondo. Le risposte che si traducono in fatti e che impongono una conversione autentica ai valori di una fede ed ai suoi capisaldi morali ed etici.
Non ho affatto la pretesa di essere io a dare la risposta a questi interrogativi, sarei ridicolo a volerlo fare, non ne sono in grado, non ho gli elementi basilari per farlo, non l’intelligenza, non la conoscenza intima e piena delle cose, non la visione profetica.
Riflettere ho detto, semplicemente riflettere, lasciando comunque a ciascuno la propria libertà di giudizio. Ecco allora che la riflessione conduce a vedere in chiave meno elegiaca e più problematica il mistero profetico racchiuso nella vita di questo Pontefice.
Sul piano geopolitico è indubbio che il peso di questo Papa nel far crollare, alla fine degli anni ottanta, i muri di menzogna, di repressione della libertà e di oppressione che i regimi comunisti esercitavano su una parte dell’ Europa è stato grande.
E’ indubbio che il successo di questa svolta storica sia stato determinato dalla convergenza delle aspettative e dagli obiettivi delle grandi potenze occidentali con le necessità di giustizia e di libertà che sono insite nel pensiero e nella dottrina del Cristianesimo.
E’ tuttavia indubbio che in altre parti del mondo, dove per egoistici interessi nazionali, internazionali e geopolitici non si può registrare convergenza fra gli obiettivi delle grandi potenze e le esigenze di una giustizia coerente con le aspettative e le esigenze del pensiero cristiano, altrettanto gravi situazioni
di ingiustizia, di sfruttamento, di oppressione e di repressione delle libertà individuali e collettive, permangono circondate il più delle volte da un omertoso ed assordante silenzio, pur se ripetutamente condannate e denunciate coraggiosamente e pubblicamente da questo pontefice..
Basti citare, una volta per tutte, ciò che accade in grandi parti dell’Africa e del terzo mondo, in cui spesso sono le grandi multinazionali occidentali a fare il bello ed il brutto tempo, a seconda dei loro interessi ed a scapito delle esigenze della popolazione e delle più elementari norme di giustizia.
Basti citare il giogo del debito pubblico che strangola le debolissime economie dei paesi del sud della Terra. Tutti temi questi per i quali il Papa ha levato alto il proprio monito e per i quali spesso ha supplicato invano le grandi potenze affinché intervengano con coraggiosi atti di generosità e di lungimiranza al fine di alleggerire il peso ed i condizionamenti negativi di questo fardello.
Terrorismo e guerre preventive o reattive di risposta si susseguono e sono ormai diventate una caratteristica di questo ultimo ventennio. Contro queste si è sempre infranto inascoltato il grido di condanna e di esortazione alla pace di questo Pontefice.
Sempre per stare ai temi geopolitici, la cristianissima” Europa