Lo scorso13 Novembre ricorreva il 10° Anniversario della rinascita del Gruppo Scout Casola V.1°

Ogni volta che vedo i nostri scouts scorrazzare per le vie del paese mi tornano alla mente le parole di Luisa Sangiorgi dopo che, al termine di una riunione in parrocchia, accettammo la proposta di rifondare il gruppo scout Casola Valsenio 1. Quel 'Che bello, rivedremo le divise azzurre correre per le strade!&#8221, era molto più di un semplice moto di spontaneo entusiasmo, era un mandato, quasi un impegno d'onore e come tale ce lo siamo scolpiti dentro e lo abbiamo segretamente conservato fino ad oggi.
Dieci anni fa, convocati a quella riunione con Luisa e alcuni genitori, eravamo solo uno sparuto gruppetto di tre ragazzi di 20-22 anni - Lella, Poggio ed io - che non aveva la più pallida idea di cosa l'avrebbe atteso negli anni a venire. All'epoca c'era tutto da fare: non avevamo contatti con altri gruppi scout, non avevamo le sedi, non avevamo esperienza di conduzione delle unità scout e del metodo educativo che le contraddistingue, soprattutto non sapevamo se i giovani di Casola ci avrebbero seguito. Avevamo vissuto lo scoutismo da bambini, un po' in reparto e un po' in branco, ma un conto è seguire il capo, un conto è essere il capo.
Non sapevamo se ne valeva la pena, ma una cosa è certa: non eravamo tipi da abbattersi facilmente e una volta deciso di partire saremmo andati subito al sodo con grande determinazione, a costo di rallentare anche i nostri studi universitari. Così è stato fin da subito (ahimé anche per gli studi): avviammo i contatti col gruppo di Riolo Terme, organizzammo un grande gioco per radunare i giovani del paese ai quali fare la proposta, poi comprammo le fatidiche camicie azzurre che, a poco a poco, cominciarono a scorrazzare qua e là per le vie di Casola. Ben presto ci ritrovammo con un reparto di 35 ragazzi e ragazze ed un branco quasi altrettanto numeroso, una situazione che non avremmo mai potuto gestire se, fin dai primi mesi, a noi tre non si fossero uniti spontaneamente diversi nostri coetanei. Tizi, Albo, Luca, Roby, Christian, Anna, Valentina, Riccardo, Kekko, le due Sara, Erica, Chiara, Fabio, Simona, Michele&#8230, Alcuni di loro sono ancora capi nel nostro gruppo, altri li rimpiangiamo perché avevano lo scoutismo nel DNA. Molti adulti ci sostennero all'inizio in maniera determinante: Sandra, Fausto, l'Arciprete, don Angelo e mio padre che, si sa, è il capostipite del gruppo e, pur avendone sempre a cuore le vicende, non mi ha mai detto cosa fare, non mi ha seppellito di 'buoni consigli da esperto&#8221,, ha sempre avuto riguardo per le mie scelte. La sua guida silenziosa è stata più importante di cento braccia al campo.
In quel periodo, in generale tutti i genitori, nostri e dei ragazzi, ci appoggiarono dandoci fiducia totale, c'era intorno al nuovo gruppo un entusiasmo palpabile, incredibile e quasi incosciente: quello giusto, quello che serviva per far partire la nuova avventura. E l'avventura ebbe inizio, allargandosi e coinvolgendo sempre più giovani che poi col passare degli anni sentivano il bisogno di proseguire il loro cammino all'interno del gruppo anche dopo gli anni di reparto. Fu così che nacque il noviziato e successivamente il clan. Il gruppo da allora ha sempre contato dagli 80 ai 100 ragazzi ogni anno, è cresciuto e soprattutto è maturato, ha istituito tradizioni proprie ed ora sta consolidando la propria fisionomia. Una volta, a un'assemblea regionale nella primavera del '97, un vecchio capo che conoscevo bene, mi disse che un gruppo scout non poteva dirsi solido prima di aver compiuto 10 anni. Ricordo che allora pensai fosse un'esagerazione, non poteva volerci tanto tempo e quella era sicuramente la 'sparata&#8221, di un vecchio verso il novellino pieno di entusiasmo. Ma oggi, allo scoccare del decennale, vedendo l'unità di intenti raggiunta in comunità capi e la capacità di progettare le attività con precise finalità educative, penso che avesse ragione e che quella non fosse una sparata ma un consiglio ad essere paziente e fare un passo per volta.
Oggi quello slancio iniziale non c'è più, la curiosità e l'attesa per la novità sono state sostituite da un entusiasmo più consapevole cresciuto di pari passo con la sempre maggior padronanza degli strumenti educativi a nostra disposizione. All'inizio avevamo moltissimi capi in rapporto al numero di ragazzi, ora siamo in pochi, anche se decisamente più preparati. E' il nostro male, un male comune a molti altri gruppi ben più longevi perché il servizio in unità scout richiede grande dedizione, generosità, amore verso i propri ragazzi, richiede soprattutto di credere fortemente in uno stile di vita che deve contraddistinguere la persona per tutta la vita. Ricordate? Un conto è seguire il capo, un conto è essere il capo.
La nostra comunità capi è maturata parecchio in questi anni, ma non per questo si è invecchiata: Lella ed io, a poco più di trent'anni anni siamo i più vecchi, ma quasi tutti gli altri ne hanno meno di ventiquattro. Quei ragazzini e quelle ragazzine che una volta soffrivano di nostalgia al campo estivo oggi sono cresciuti e conducono unità da trenta ragazzi che vedono in loro un saldo punto di riferimento. Sono loro la vera anima del gruppo. Non l'ho mai detto a nessuno, ma qualche tempo fa, vedendoli partire per il campo in Germania, circondati dai loro scout e guide, mi sono un po' commosso percependo la netta sensazione che, pur fra alti e bassi, qualcosa di buono dovevamo aver combinato negli anni precedenti. Quando vai ai campi scuola ti senti dire spesso che, se ti va bene, gli effetti della tua azione educativa li verifichi solo a lungo termine, negli anni. Io sono stato fortunato: quella sera ho avuto risposta positiva ai dubbi e alle incertezze che fatalmente ti si insinuano maligne nella testa quando hai a che fare con dei ragazzi e vuoi il meglio per loro.
Di tanto in tanto, fra capi, ci chiediamo: 'Quanto durerà il nostro ciclo?' Non è una domanda che mi toglie il sonno perché siamo tutti consapevoli che certe cose vanno e vengono e quella dello scoutismo è una pianta che fiorisce solo in un terreno molto fertile. Soprattutto in un paese piccolo, dipende strettamente dalle vicissitudini personali dei capi che talvolta sono imprevedibili. Oggi il terreno è fertile, ma domani? Chissà. La cosa certa è che ognuno si spremerà al massimo per dare continuità a un servizio che dura ormai da dieci anni e che comunque ha radici quarantennali.
Voltandomi indietro vedo anni bellissimi e vissuti con grande intensità dalla comunità capi, anni di lavoro, di progettazione appassionata che hanno cementato i rapporti personali ben al di là del ristretto mondo delle attività scout creando le basi per quelle amicizie che durano una vita. Vedo le allegre serate passate insieme, le discussioni, gli amori nati e qualche volta dissolti, riascolto le liti, le confidenze e i consigli che ci siamo scambiati.
Sento il profumo del campo scout la mattina presto, l'improvviso animarsi dopo la sveglia e il vociare sommesso durante il pranzo negli angoli di squadriglia, la grinta e le astuzie dei ragazzi durante i grandi giochi, il sereno cantare la sera, attorno al fuoco di campo. Ricordo il bellissimo campo di reparto a Pratizzano (RE) e l'incontro col Papa durante il campo a Roma insieme ai Lupetti che, così lontani da casa, soffrivano un po' di nostalgia.
Mi rivedo il noviziato in route sulle cime dell'Alpe Veglia con un freddo bestiale e un tempo da lupi e allora con la mente li teletrasporto in Val d'Orcia sotto un sole micidiale e senza un albero decente a regalare loro un po' d'ombra. Se mi concentro provo ancora la spossatezza che ci assalì dopo il campo pasquale di gruppo fatto all'interno del paese, con le tende al campo sportivo, le sedi trasformate in dormitorio-cambusa, la route nelle colline circostanti in quello che fu un esperimento ben riuscito di connubio tra attività scout e parrocchiali.
Tante sono le attività, le uscite, i campi e le route che si fanno in dieci anni e non è certo mia intenzione passare per il vecchio che rievoca i bei tempi andati. Anche perché quei tempi sono ancora il presente e, perché no, anche un pezzo di futuro. Fino a due mesi fa c'era il mio clan a ricordarmelo ogni giorno. Per questo non è stato facile guardarmi indietro estrapolandomi da un'esperienza che, seppur in modo più marginale, vivo tutt'ora. Mi piace ricordare, ma solo quando lo posso fare in compagnia di chi ha vissuto quelle esperienze con me, con noi, insieme cioè a quei bambini che oggi sono uomini e donne e che quando li incontri per la strada ti dicono ancora: 'Ti ricordi quella volta &#8230,..&#8221,.
Nonostante questo però, non posso non ricordare l'esperienza de 'Lo Spekki(ett)o&#8221, che si è sviluppata parallelamente al gruppo scout e che, traendo come sempre nuova linfa dalla comunità capi del gruppo, prosegue tuttora a servizio del paese. E ancora, l'intervento compiuto nelle zone terremotate delle Marche e dell'Umbria quando tutta la Co.Ca si trasferì nella zona di Serravalle per portare un aiuto reale a quella gente che sembrava di conoscere da sempre e allo stesso tempo costituire una testa di ponte per l'arrivo di altri gruppi scout.
Dieci anni&#8230, non sembra passato tutto questo tempo.
C'è una foto, scattata il 13 novembre 1994 a Pagnano, che ritrae un gruppo di giovani e giovanissimi sudati e imbrattati, felici alla conclusione di un grande gioco di movimento: il primo grande gioco scout del nuovo corso. E' la nostra foto più bella, quella che conserviamo più gelosamente. Allora fu subito un successo soprattutto perché i ragazzi che risposero a quella prima chiamata si giocarono totalmente, dimostrando di essere pieni di quello spirito fanciullesco senza il quale sarebbe impossibile intraprendere una qualsiasi avventura scout.
Da quel giorno di cose ne sono successe, ci siamo anche laureati, ma soprattutto siamo diventati persone un po' più felici. Baden Powell, il fondatore del Movimento scout, ha scritto: 'La felicità non parte dalle persone e dalle cose per arrivare a te, essa parte da te per arrivare agli altri&#8221,. Si tratta di un'affermazione sorprendente, forse pure opinabile, ma per quanto mi riguarda vera.
E quando vedo delle macchie azzurro cielo sfrecciare tra le case del paese, non posso fare a meno di ricordare quella frase di Luisa e sentire l'incertezza e il frizzante entusiasmo dei primi tempi. Credo che senza quella carica iniziale oggi non saremmo qui a scrivere di un'occasione che, come disse una volta don Menetti, 'sa un po' di miracolo&#8221,.

Lorenzo Righini
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