Editoriale
Pur essendo un periodico a carattere prettamente locale, “Lo Spekki(ett)o” non ha mai mancato di gettare un’occhiata alla situazione politica nazionale, convinto più che mai che, per fare un buon servizio, sia necessario tener conto di tanti fattori, non ultimo dei quali la comprensione della piega che prendono gli eventi in ambiti ben più alti di quelli abitualmente trattati su queste pagine.

Nell’editoriale del maggio scorso scrivevamo un po’ sconsolati del teatrino della politica, i cui burattini continuavano ad azzuffarsi per questioni di poco conto e dove regnava un senso di spavalderia e impunità nauseante. Intendiamoci: l’impunità di cui si parla non è solo quella legata alle questioni giudiziarie che, pur interessando più di un esponente politico, non rappresentano che un aspetto marginale su cui però resta focalizzata l’attenzione dei media. Impunità è anche quella di cui godono quei parlamentari e senatori che, pur non facendo il proprio dovere, non possono essere mandati a casa al termine della propria legislatura, salvo che ciò non venga deciso all’interno del proprio partito.
Impunità derivante da una legge elettorale che non permette ai cittadini di scegliere realmente il proprio candidato.
Chiediamoci: da quindici anni a questa parte, in pratica dopo le manovre che hanno permesso all’Italia di entrare nella zona Euro e dopo la tanto criticata (ma oggi benedetta) riforma pensionistica di Dini, che cosa è cambiato nel nostro Paese? Quali riforme strutturali di rilievo sono state fatte? Niente di niente. Soprattutto si è potuto assistere ad un’escalation dei litigi e dell’immoralità. Si è assistito, anche grazie alla già citata legge elettorale, all’allontanamento dalla realtà della classe politica che, essendo nei singoli sostanzialmente immune al giudizio popolare, sembra sempre più propensa a credere di aver ricevuto il mandato da un dio piuttosto che dalla gente. In quest’ottica, da alcuni mesi stiamo osservando le mosse di Gianfranco Fini che con gran coraggio ha preso atto che quella dei politici non dovrebbe essere la coorte di un monarca assoluto, bensì il luogo della legalità e delle riforme per un Paese boccheggiante. Ha sostanzialmente ragionato come qualunque italiano di buon senso che si rende conto che certe “sparate” non sono più ammissibili. Senza entrare nel merito delle questioni specifiche (giustizia, sviluppo economico, riforma fiscale,..) non può essere accettabile che il nostro caro Presidente del Consiglio si svegli ogni mattina con un’idea nuova, talvolta strampalata, che trovi d’accordo l’intero schieramento di centrodestra. Fini ha semplicemente rotto il giochino dei numerosi “yes men” che popolano il governo. Certo la sua è una scelta pericolosa che rischia di cancellarlo dalla scena politica e di staccarlo dalla propria poltrona, una scelta che gli ha fatto piovere addosso un mare di critiche e di accuse, ma proprio per questo la sua audacia, che è quella di chi non ne può più, va elogiata. Subito gli hanno tirato addosso critiche stiracchiate per la fantomatica casa di Montecarlo (come ha detto qualcuno: “Sono 50 giorni che parliamo di 50 m2”) e molti commentatori si sono affannati a dire che trovano il comportamento del Presidente della Camera incomprensibile e irresponsabile. Se ciò è vero per chi conduce un’esistenza basata sul quieto vivere, per la gente comune questo è un atto di coraggio e di rispetto dei propri valori e delle proprie convinzioni. Un politico navigato come lui che, iniziando il proprio percorso da un partito neofascista extraparlamentare, ha raggiunto la terza carica dello stato e che butta tutto alle ortiche per difendere le proprie idee di legalità e democrazia è roba da Italia d’altri tempi, tanto che si fatica a credere che sia vero. Qui non si tratta di idee o di appartenenza politica, si tratta di ritrovare un modo sano per porsi di fronte a quella grande arte che è la politica ben fatta. L’esempio di Fini andrebbe seguito. Sinceramente noi ci speriamo, perché tutto ciò avrebbe il sapore di una fresca brezza di aria nuova, chissà. Di certo fa ben sperare il fatto che il suo scudiero si chiami Bocchino. Con un cognome così, chissà cosa avrà dovuto sopportare in vita sua…Di sicuro avrà dovuto imparare l’arte della dura lotta e del perseverare sulle proprie idee.

Buona lettura

Lorenzo Righini
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