Parecchi mesi fa, non ricordo di preciso quando, avevo letto l'articolo di Alessandro Righini sui quarant'anni di Don Giancarlo Menetti a Casola.
Mi avevano colpito molte cose- sopratutto la scena bellissima del Ronce che per primo andò a portargli il saluto di Casola- e mi ero ripromesso di scrivere qualche cosa.
Poi il tempo passa, e ci si ritrova sempre ingavagnati in un sacco di cose da fare, quasi tutte non proprio fondamentali, e ci si dimentica.

Oggi ho saputo che Don Giancarlo è stato poco bene, e così inizio a scrivere queste righe semplicemente per fargli un sacco di auguri e per dirgli che gli sono vicino e prego per lui, sperando di non aver esaurito il bonus presso il Signore che spero di aver guadagnato nei miei lunghi e meravigliosi anni di chirichetto.
E scrivo anche sorretto dall'unica convinzione che mi spinge ogni volta a pigiare sui tasti di un computer o di una macchina da scrivere, che è sempre giusto condividere qualcosa, anche una piccola storia, perchè tutti abbiamo qualcosa che vale la pena di essere celebrata con gli altri, o anche perdonata.
Don Giancarlo Menetti per me è l'Arci.
L'apoteosi di tutti gli Arci.
Quando penso a un parroco, quando solo sento la parola, mi viene in mente lui, il nostro Arci.
E con lui, una valanga di ricordi.
La prima cosa che vedo è il suo modo di passarsi la mano sui capelli, con il pollice e l'indice, strisciando sulle tempie.
La seconda cosa è quel timore reverenziale che ho sempre provato per lui, un po' perchè da piccolo ero convinto di non essere uno dei suoi preferiti, ma era solo una delle trappole da due soldi che il mio ego smisurato mi piazzava sulla strada, e un po' perchè ero certo ne sapesse troppo del mondo, e questo mi lasciava a bocca aperta, da quando a sette anni entrai nel suo studio senza bussare, e lo trovai chino su un libro polveroso, impregnato di un inchiostro vecchio di secoli.
L'Arci aveva un sacco di storie da raccontare, quasi tutte spettacolari.
La nostra preferita era quella sull'Uomo di Pediana, un incrocio tra un Lupo Mannaro e ubriacone che si diceva vivesse nei boschi intorno a Valbianchino.
Ma ce n'erano a centinaia.
Io ricordo ancora a memoria la canzone che ci insegnò un pomeriggio mentre passeggiavamo dalle parti del Sasso del Diavolo, a Pietramala, era la melodia de 'Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio...', ma il testo era stravolto e diceva 'la classe mormorava calma e placida all'ingresso del professore reduce dal...(la parola mancante significa toilette, ma fa rima con ingresso '.
Ci assicurò che lui da ragazzo la cantava insieme ai suoi compagni per prendere in giro un suo insegnante, e io provai un piacere indescrivibile, perchè scoprii che non eravamo tutti da buttare via, e che anche loro, gli arcipreti, erano stati un tempo comuni mortali come noi, primadi trasformarsi in Cavalieri Jedi, o almeno così li vedevo io: votati a una causa superiore, degli eletti.
Ho servito di fianco all'Arci, in mezzo ai miei amici, migliaia di messe, matrimoni, funerali, battesimi, mercoledì delle ceneri e vie crucis, e ho di quegli anni un ricordo favoloso.
Se chiudo gli occhi, scintilla tutto come i racconti che facevano i Conquistadores spagnoli tornando dal Nuovo Mondo.
Ecco, quegli anni da chirichetto sono la mia Eldorado.
Tutto era immenso, coloratissimo e le estati erano lunghe come l'equatore.
Ci si poteva perdere, in un posto così.
Ma l'Arci, insieme ai nostri genitori, ci camminava di fianco, e ci teneva d'occhio.
Non frequento più la parrocchia da anni, ormai, ma come ho detto, la vita ti ingavagna in una serie fittissima di cose strane.
Le strade si biforcano, ognuno imbocca il suo sentiero e va verso il proprio destino, se non è il destino a travolgerlo prima.
Ma questa è un'altra faccenda.
Volevo solo ringraziarlo per la pazienza che ha avuto con noi.
Per quella volta quando per la processione del Cristo Morto ci affidò il compito di trovare un coltello decente da infilare nel petto della statua della Madonna, per esempio, e non trovammo di meglio che uno spadino in plastica di carnevale, alla D'Artagnan, con il manico in finto oro.
E anche per tutte le feste del sabato sera alla Stanza, con Gli Ac/Dc sparati a un volume incredibile nelle ore più sconvenienti.
E per le ridarole che ci venivano puntualmente durante la via Crucis quando incominciava a cantare in latino e noi lo seguivamo sostituento il 'Tantum ergo sacramento' con 'Canta il merlo sul frumento'.
Adesso che le scrivo me ne vengono in mente a miliardi, ma non ha senso andare avanti.
E' stato un onore averlo avuto vicino a noi in quegli anni.
Mi ha dato molto di più di quanto io non gli abbia dato.

Questa notte mi sforzerò di sognare quel sabato mattina a Monte Battaglia, quando l'Arci ci portò a fare una passeggiata, come diceva lui 'a piedi, in motoscarpa'.
Quella mattina ci insegnò a salire zigzagando, perchè si faceva meno fatica, alcuni trucchetti per mettere in fuga le vipere e una tecnica particolare per distillare acqua purissima da una pozzanghera fetida.
Arrivati in cima ci parlò un po' della guerra, della distruzione che c'era tutto intorno, poi ci mettemmo a mangiare.
Donna (per i profani, Bruno Donini) gettò la linguetta della sua scatoletta di tonno per terra, e appena quella toccò il suolo, ci fu un fruscio nella boscaglia, e da un cespuglio spuntò Don Angelo, come un incrocio tra un Arcangelo vendicatore e una guardia forestale, e lo afferrò per un orecchio con una precisione millimetrica, consigliandogli di raccoglierla subito.
Ecco, due cose so di sicuro.
Una, è che succedevano sempre un sacco di cose inaspettate, quando c'era l'Arci.
Da rimanerci a bocca aperta.
L'altra è che in quegli anni ho capito che per quanto mi addentrassi in sentieri difficili, Gesù era sempre al mio fianco.
Non ho mai avuto, ne li ho ora, dubbi su questo.
Gesù camminava con me.
E come può non esserci, se ha messo uno dei suoi migliori Cavalieri Jedi, l'Arci, a vegliare sui nostri sentieri?

Cristiano Cavina
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