Town rock o rock di paese: quel genere di musica che nutre la mente dei suoi abitanti e di chi ne coltiva l'ascolto con un malinconico senso di perdita. Un approccio agricolo che non dipende da logiche di mercato, ma da un sentimento di puro amore e rispetto per la musica.

Ci sono le storie vere. E le storie vere straordinarie. Questa, è una storia.

La gente aveva bisogno di avvicinamento, di dialogo, e non di tecnologia e legami virtuali. Lo scorrere dei giorni era complessità e disorientamento di vivere un eterno presente. Un perenne letargo esistenziale alla ricerca di un equilibrio tra vita e lavoro.

Uscirono dalla cronaca di quei giorni, parlando dei misteri che muovevano le loro vite. Forse mossi da qualcosa che li spinse ad aggrapparsi all'esistenza, e non lasciarla andare. Le loro vite, non erano come un servizio fotografico. Ma confidenza, senza conseguenza.

Da quel giorno, prese vita un'allegra follia, una meravigliosa astensione da ogni tipo di intrattenimento sociale, un respiro leggero e finalmente libero. Era il nostro concerto. Proprio nel nostro piccolo paese. Esattamente dove non c'è mai nulla. Nessun altrove geografico, proprio qua.

Fino a quel giorno, le loro vite erano scure e grigie, come l'asfalto dopo una pioggia improvvisa. Uscirono, per un po', da quell'immobilità da portone in un palazzo anonimo.

Serviva trovare un posto, gente che volesse suonare. Era necessario avere voglia di fare. Non c'era un soldo, ma non era un impedimento.

 

 

Trovarono il posto, e gente che volesse suonare. La voglia di fare prese forma di persone, e in quei giorni la fatica era colma di soddisfazione. Iniziò il concerto. Bastarono due note per toccare il cuore dei presenti e mettere a tacere ogni ragione e giudizio estetico. Riuscirono a creare un ponte tra la loro idea e il mondo reale. E ci passarono attraverso, la migliore delle vie d'uscita. Era tutto molto semplice. Un palchetto, uno spazio, un cielo e qualche stella. C'era un sacco di gente, pure moltissimi bambini. Le teste non erano inclinate su quegli schermi blu, ma c'era partecipazione, presenza. Riuscirono a risvegliare, emozioni ormai sotterrate.

Improvvisamente l'aria cambiò aspetto. Mi girai, per una volta, dalla parte giusta. Il sublime, la tenerezza, l'imprevisto e il fascino, attraversarono come un'ombra il cuore e la mente, e lì, afferrai, osservai e ne percepii peso e forma. Eri tu, un insieme di onde magnetiche di pura eleganza, piccole e delicate, quasi senza tempo. Una presenza che fa bene al cuore. Eri arrivata proprio in quella serata. In quel luogo di incontri, di sguardi, di gonne leggere e di musica. Un posto in cui si entra con occhi aperti e predisposizione romanzesca, quasi da rockstar. In quel posto eri tu, insieme a me, persi dentro le parole e negli sguardi degli altri. La tua voce, aveva il tempo dell'emozione. Eri lì per me, non per il ritmo. Bastò la forza di queste parole, ad annullare l'intervallo tra lo spazio e il tempo. Mi sentii dissonante come l'accordo presentato da McCartney in “Let it be”. Ci abbracciammo, con la certezza che in quell'abbraccio, avrei trovato l'essenziale.

Chissà che tipo di storia sarà questa, tanto, su quello che resterà, non abbiamo alcun controllo.

rl

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