Vinicio Capossela e l’orchestra Gigante, Piazza del Popolo in Faienza.

Malaccompagnato in mezzo a vorticosi flussi di sentimenti, tra gli altri, dai faentini Antonio Gramentieri (direttore artistico di Strade Blu) e Ivan Franceschini alla fisarmonica. Dai forlivesi Enrico Farneti alla tromba (Goodfellas) e Pepe Medri (dalla scuola di musica popolare di Forlì).

Ci siamo visti passare, noi da una parte e Vinicio Capossela dall’altra. In una Piazza del Popolo accesa di calore, sfornato dalle sue numerose mattonelle. Con l’aria secca e arida di soffi di vento. Con il cielo pieno di stelle e ancor più bello, perché libero dal solito schema quotidiano. Una serata che ci ha portato alle porte dell’inferno. Proprio là, sulla frontiera. Perché la realtà, è travestita da paradosso.

Se le persone sono lo specchio di un’epoca, quello che si percepisce oggi è un grande senso d’inquietudine. Siamo ammalati di un continuo smarrimento. Ogni cosa è fatta solo perché ci sposta momentaneamente da un’altra parte. La sindrome, è da esclusi dal pianeta. Le masse sono sofferenti. Le nuove generazioni hanno troppo, una vita prospera, denaro facile e genitori generosi che non vogliono contestazioni. Vivere al di sopra di ogni possibilità, è diventato un dovere necessario. E’ il grande circo del piacere, dove chi non piace è angosciato. Un gioco, dove tutti danno il peggio. Un’epoca legata a soddisfazioni temporanee, causate principalmente da bisogni indotti solo da grandi allucinazioni collettive.
Abbiamo abbandonato anche i nostri cuori, lasciandoli alla deriva. Ci si prende senza leggere e senza sapere. Ci si lascia senza neppure la dignità d’una scena d’addio. Non si diventa polvere, nel cammino della pietra.
Guardiamo all’amore, come ad un interesse periferico. Lo vestiamo con aria miserabile, lo trattiamo con indifferenza, non siamo sinceri con chi si ama. Leviamo dall’anima, anche questa passione.
Anche se vi credete tutti assolti, siete tutti coinvolti. Tu che additi la puttana, sei più puttana di lei. Siamo morti nella carne, e le nostre viscere, alla brace. E facciamo finta di niente, tanto non siamo noi, sono gli altri. Le porte della piazza, chiudono il mondo all’esterno. Il vapore delle canzoni, avvolge le nostre figure.

Siamo alla porta dell’inferno. Capossella ci invita ad accompagnarlo assieme ai suoi musicisti. La disposizione dei posti a sedere, è per dimostrare che si è norma con quello che deve succedere. E quello che succede, è piu’ grande di quello che vediamo succedere.
La musica, è l’unica cosa ipnotica che ti fa stare bene. Non devi opporre resistenza, devi solo lasciarti abbandonare. E farti travolgere da tutta la sua forza.
La musica di questa sera è da sola e intima. E’ visionaria e lontana. E’ di forntiera e popolare. E’ tarantolata e avvinazzata. E’ gigante e giocattolo. E’ custode, della grazia che ha ciascuno nel suo cuore.
Nelle canzoni si parla di clandestinità, dei nostri fantasmi, di personaggi immaginifici da circo, di paesaggi lontani e desolati, di polvere e di sterpi, di bar e di luna, di storie di marinai e pirati, di filastrocche e di fiabe, di vita, di morte e di amore, di noi.
Noi che elenchiamo le nostre pulsioni ad internet. Costruiamo rapporti attraverso messaggi telefonici, che non cancelliamo per essere più sicuri. Noi, che non riusciamo a confrontare la realtà con ciò che siamo veramente.


Grazie per la cartolina, ha violato l'emozione.

r.l.
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