Il pomeriggio prima dell’evento.

Mi aggiro, d’arancione vestita, scrutando con occhio critico ogni singolo carro: oro, un cavallo a dondolo, sbucano una testa di drago e dei pali appuntiti.
Sono molto più grandi di come li avevo immaginati: sembrano tre giganti che si lasciano percorrere con pazienza da un sacco d’omini affaccendati, ci giro attorno e scopro ogni volta un particolare che mi era sfuggito, mentre mi diverto ad ascoltare i commenti e a fare mille ipotesi ma tant’è, mi spiegano, il carro va visto vestito…

L’evento.

Splende il sole su Casola e sulle volenterose majorettes: i giganti stanno subendo gli ultimi ritocchi e io sto subendo la lettura delle relazioni, continuo a distrarmi, leggo e rileggo, capisco e non capisco finché decido di guardarli solamente ed ecco quello che vedo. Il carro che sfila per primo ha un impatto impressionante: ragazze che nascono dai fiori e fiori che nascono da spine, un uomo in bicicletta e bimbi pronti a diventare farfalle, dietro, un tocco d’antico a rappresentare un pezzo di storia.
Poi arriva il secondo carro: risalgo attraverso il ponte levatoio, mi specchio in mille frammenti, prendo il caffè, mi faccio cullare sul cavallo a dondolo, attenta a non farmi mordere i piedi dal drago. Il tempo di girarmi e subito qualcuno mi fa una linguaccia mentre un altro mi spiega che tutto era scritto nel libro di magia. Scendo ma ho già voglia di tornare su, a spalancare gli occhi, a farmi raccontare un’altra fiaba. Seguo il carro per tutto il tragitto, poi ubriaca di semplicità torno indietro per vedere l’ultimo carro: e qui ciò che mi era sembrato massiccio nel pomeriggio acquista valore con le figure bianche a contrasto e tutto quell’oro che abbaglia a monito, vado a scoprire, curiosa, il dietro, ma rimane solo del rosso.
Tolgo gli occhiali di sole, mentre un’aria fresca viene a chiudere questa giornata di primavera: mi piacerebbe tornare.

Debora Bortolotti
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