Per fare scoperte, tracciare nuovi legami ed esplorare, bisogna andare un po’ oltre, magari anche rischiando d’andare fuori dal seminato. A tutti è nota la storia dell’imperatore romano nascosto nell’antro, storia dalle infinite varianti, come del tesoro che avrebbe custodito o del palazzo dove sarebbe vissuto. Appena meno nota, è la storia del collegamento che la grotta avrebbe avuto con Monte Mauro. Già almeno dall’800 troviamo scritti che ci raccontano questa insistente ‘voce popolare’, come nel caso di Don Lorenzo Costa di Miola, già priore della chiesa di S.Giovanni Battista di Valsenio, speleologo e geologo ante litteram, che nella seconda metà del 19° secolo parlando della grotta di Tiberio, ci racconta: “la voce popolare insiste a raccontare che quella via della grotta metteva al Castello di Montemauro”. In alcune versioni la via porta a raggiungere un'altra grotta, che si dice presente sul monte stesso. Quel collegamento fisico non esiste, e questo lo sapeva già don Lorenzo, che al limite aveva immaginato una via artificiale scavata nel monte, magari di ‘collina in collina’ come via di fuga, al pari dei grandi ipogei artificiali come gli acquedotti i cunicoli di drenaggio ecc. Forse però il ‘collegamento’ lo potremmo cercare più sul piano ‘simbolico’ che reale. E’ un fatto che entrambe i luoghi portano un toponimo legato a ‘tiberio-tiberiaco’. Presenza questa interpretata e spiegata in molti modi: tra cui la presunta esistenza di un limes, una linea di frontiera fortificata che sarebbe corsa attraverso questi luoghi, in relazione al confine tra bizantini e longobardi. L’ipotesi è realistica, ma forse va in parte integrata e rivista anche in relazione alle nuove scoperte. La presenza di una attività mineraria legata all’estrazione del Lapis Specularis, in epoca imperiale, introduce un fatto, la cui importanza economica per l’area è ancora difficile da valutare. Se la continua scoperta di nuovi siti non ci permette infatti, ancora di definirne il volume e l’importanza per le società dell’epoca, ci obbliga però a rivedere, ipotesi date per certe. Senza scomodare improbabili memorie collettive che abbiano tramandato oralmente la storia imperiale romana, è un fatto che non sappiamo in che modalità e con che tempi l’attività mineraria sia stata attiva. Abbiamo cioè con una certa sicurezza un orizzonte basso, prima del quale non si estraeva, ma non sappiamo fino a che periodo si sia proseguito, e in particolare se l’attività abbia attraversato più cicli, magari anche con lunghi intervalli d’abbandono. Non è infatti per niente escluso, almeno da quanto sembrano tramandarci alcune fonti, che si sia avuta una ripresa estrattiva, durante il medioevo e forse anche dopo. Nella stessa grotta della Lucerna, oltre alle tracce romane, sono stati identificati reperti riferibili ad una frequentazione medievale. Tornando alla nostra grotta del Re Tiberio, sito archeologico di grande importanza e con un lunghissimo orizzonte cronologico di frequentazione, la sua principale interpretazione funzionale, si è sempre centrata intorno all’idea d’uso sepolcrale nonché spazio sacra e santuario legato alle acque. Se questo appare sicuramente vero per l’orizzonte più antico, la sua continuità come santuario in epoca romana appare invece ipotesi ottenuta più per estrapolazione e continuità che sulla base di precise attestazioni. Sono molti i siti ipogei che hanno visto, in senso diacronico, mutare radicalmente uso e funzione. Restando molto vicini, andrebbe per esempio approfondito lo studio di una piccola cavità artificiale sita nell’area di Cà Castellina, sempre a Monte Mauro. Una cavità che probabilmente ha attraversato almeno tre orizzonti differenti d’uso: creata come saggio estrattivo di Specularis, è probabilmente diventata luogo di culto Cristiano, piccola grotta santuario, forse in età medievale, per finire negli ultimi secoli come annesso agricolo e deposito per attrezzi. Le vaschette e le tracce presenti nell’ingresso della grotta di Tiberio sono talmente famose da identificare la grotta stessa nelle foto e nelle cartoline. Lo studio della loro funzione ed età ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro, ma come in altri casi, appare molto difficile datare un tale tipo d’intervento, che può aver subito molti adattamenti nel corso del tempo anche per usi e scopi differenti. Una delle ultime ipotesi è che si tratti di un sistema di raccolta e di acque di stillicidio, anche tramite solchi e canalette scavate nelle pareti, che potessero convogliare in vasche più grandi. L’ipotesi è realistica e troverebbe molti riscontri con analoghe soluzioni presenti in altre grotte in giro per il mondo. Resterebbe il problema di definire, perché raccogliere acqua. L’idea della raccolta di acqua a scopo cultuale, fornirebbe una spiegazione, suffragata in parte dalla presenza dei famosi vasetti miniutiristici. Oltre a queste vaschette ‘famose’, nella grotta ci sono però altre tracce meno conosciute, e poste più all’interno della stessa, è lo stesso Luciano Bentini a raccontarci, in uno scritto del 2002, recentemente pubblicato postumo, la sua scoperta di queste tracce ‘minori’:

“Degna di nota è poi che negli anni ’60 nella spessa colata alabastrina che concreziona la diaclasi sovrastante il pozzo della ‘Sala Gotica’ furono individuati rudimentali gradini molto consunti e levigati per la continua utilizzazione, che permettono di risalire fino al soffitto del cavernose per captare acqua di stillicidio (…). Ne Scarabelli né i numerosi autori che hanno descritto in passato la grotta, hanno segnalato altri incavi, da me segnalati per la prima volta (Bentini 1972), scavati a circa 50 metri dall’imboccatura, nella parete a sinistra per chi entra, che la collega alla ‘Sala Gotica’: sono piccole nicchie di sezione quadrangolare, almeno nove, che si internano abbastanza profondamente nella roccia, alcune delle quali sono parzialmente incrostate da un sottilissimo velo di concrezione, mentre altre recano nitidi graffi prodotti da oggetti metallici”

La presenza di una diaclasi e di gradini che raggiungono il soffitto, oggi ricorda molto analoghe situazioni individuate nella grotta della Lucerna e in altri siti legati all’estrazione dello Specularis. Ovviamente queste tracce, fino a poco tempo fa passate quasi inosservate, andrebbero ora analizzate in questa prospettiva, per verificare tracce della presenza di gesso secondario, cosa che avrebbe giustificato la necessità di raggiungere la sommità per poterlo estrarre. Purtroppo gli attuali lavori di sistemazione della grotta non ci permettono di avere accesso al sito e verificare direttamente l’ipotesi, che chiaramente avrebbe bisogno di riscontri archeologici. Resta il fatto che l’attuale distribuzione di siti che probabilmente hanno ospitato attività estrattive, copre ormai l’intero arco della Vena: da Brisighella fino ad arrivare quasi a Tossignano. Non si vede quindi ragione pregiudiziale perché la stessa grotta di Tiberio, cosi evidente, possa essere state ‘esplorata’ anche con finalità minerarie durante l’età romana e forse medievale. Ci piace per ora immaginare, che forse, la storia del tesoro di Tiberio, non fosse un semplice e generico mito ‘plutonico’ di quelli che associano ad ogni grotta un tesoro immaginario, ma qualcosa di più ‘concreto’, e che forse il suo rimando a Monte Mauro non alludesse a misteriose gallerie sotterranee, ma semplicemente per analogia, ad un sito con caratteristiche simili, magari proprio alla grotta della Lucerna, chissà. Non sappiamo se una attività di questo genere sia mai stata svolta nella grotta di Tiberio, certo che in quel caso la presenza d’acqua e vasche di raccolta, assumerebbe anche un’altra possibile spiegazione, legata direttamente alla presenza di chi vi lavorava. Parlando in sintesi della vitalità economica del territorio di Riolo, nei primi secoli d.C., la dottoressa Chiara Guarnieri osserva come:
“…il territorio di Riolo si caratterizza per alcune peculiarità. Ad esempio la quantità dei materiali d’importazione, se comparata all’estensione dell’areale comunale, è maggiore rispetto ad altre realtà coeve e vicine come l’imolese o l’agro bolognese, tale situazione, che non può trovare come unica spiegazione la vicinanza a Ravenna e Classe, deve necessariamente avere ulteriori motivazioni. Esisteva evidentemente un elemento di attrazione, di cui ora ci sfuggono i contorni, che faceva di questo territorio un sito privilegiato per capacità ricettive e di grande vitalità economica” (1)

Se questo ‘motivo d’attrazione e vitalità economica’ sia stata proprio l’estrazione di Lapis Specularis, magari anche dalla grotta di Tiberio, per ora non c’è dato di saperlo, ma forse le future ricerche getteranno nuova luce anche sul misterioso tesoro di Tiberio.

Società Speleologica Saknussem


nota:

1 - Guarnieri C., Eta romana e tardoantica, p.63, in C. Guarnieri, a cura di, Archeologia dell’appennino romagnolo: il territorio di Riolo Terme, Bacchilega ed., Imola
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