Nei primi mesi del 1965, superato il momento doloroso e le emergenze derivate della scomparsa dell’arciprete Don Elviro Guidani, insediatosi il nuovo arciprete don Giancarlo Menetti, il gruppo Scout di Casola si concentrò sulla preparazione del futuro campo estivo.
Sarebbe stato il primo grande campo organizzato in proprio dal gruppo di Casola, dopo la sua costituzione ufficiale, dato che i precedenti erano sempre stati organizzati assieme ai gruppi di Faenza.

La località prescelta fu la Val di Scalve, nelle Alpi Bergamasche, una valle situata a fianco della Val Camonica che don Giancarlo, nostro nuovo parroco, e don Sante, parroco di Borgo Rivola e assistente del gruppo Scout, conoscevano bene per precedenti frequentazioni.
A quel tempo capo reparto degli Esploratori era il sottoscritto, aiuto capo Cesare Giannelli.
Fabio Piolanti era l’Akela del branco dei Lupetti ed il suo aiuto, nel ruolo di Bagheera, era Lamberto Venturi.
All’inizio della primavera noi capi con don Sante ci recammo in delegazione in Val di Scalve per un sopraluogo e per prendere accordi. La scelta del posto per il campo degli Esploratori cadde su una zona forestale sulle rive del torrente Vo, nel comune di Schilpario, mentre per i Lupetti la casa delle vacanze di Branco fu trovata a Vilminore, un paese vicino.
Ricordo che avevo cominciato a lavorare attorno al programma del campo quando, inaspettatamente, ricevetti la cartolina di precetto con la chiamata alle armi.
Il 26 aprile partii dunque militare e inevitabilmente dovetti passare le consegne a Cesare Giannelli, al quale toccò l’onere e l’onore di condurre in porto, per la branca Esploratori, tutta l’operazione.
Cesare se la cavò superbamente con l’appoggio di altri validi aiuto capi ed il campo del Vo è sempre stato ricordato come uno dei meglio riusciti.
Va annotato che a quel campo parteciparono anche gli Esploratori ed i Lupetti di Rivola e di Riolo
Dopo di allora in Val di Scalve furono organizzati altri campi Scout, altre vacanze di Branco e altri soggiorni di giovani della nostra parrocchia. Pertanto quei luoghi sono radicati nella memoria di molti, allora giovani, casolani e riolesi.
Il 24 ed il 25 settembre di quest’anno, a distanza di quarant’anni dal primo soggiorno, su sollecitazione di Maurizio Montefiori, allora giovanissimo esploratore partecipante al campo (ed in seguito, come capo reparto, responsabile di un altro campo in quei luoghi) , e grazie all’impegno organizzativo di Giancarlo Cantagalli (Ginco) e di sua moglie Loretta, un nutrito gruppo di nostalgici (oltre trenta fra ex Scouts e Guide di Casola e di Riolo, fra cui gli assistenti spirituali don Giancarlo e don Sante) ha voluto ripercorre i sentieri della memoria e del ricordo e si è recata in “uscita” in quella lontana vallata Alpina.
Sono stati due giorni indimenticabili, di grandi emozioni e suggestioni, ed anche, diciamolo pure, di epiche ma gratificanti fatiche, visto che si sono volute replicare alcune storiche escursioni fatte allora e si sa che purtroppo quarant’anni non passano invano per il fisico di nessuno.
Per quanto mi riguarda, vista l’intervenuta impossibilità di partecipare al primo campo di cui ho detto, questa avventura è stata come il mantener fede ad un appuntamento rimandato per quattro lunghi decenni con quelle aspre ma bellissime montagne e, citando una celebre ed ironica lirica di Lorenzo Stecchetti, penso che potrei commentare così: “A j’essum da murì, ma as divertessum”.
Giunti il sabato mattina presto a Schilpario, dopo una rapida sistemazione in un ottimo albergo, la comitiva si è divisa in due gruppi per dar vita a due escursioni: una diretta al mitico “Pizzo Camino” (2.500 metri s.l.m.) ed una all’altrettanto affascinante, anche se appena un poco più accessibile, gruppo della Manina (oltre 2.000 metri s.l.m.).
Rientrati dalle escursioni nel tardo pomeriggio, come si suol dire, stanchi ma soddisfatti, anzi per qualcuno, come il sottoscritto, distrutti ma gonfi di orgoglio, i partecipanti hanno poi avuto modo di ristorarsi abbondantemente con un’ottima cena ed abbondanti bevute tant’è che - dopo aver a lungo cantato ed assistito ad una apprezzatissima proiezione di filmati d’epoca e di fotografie storiche e di giornata - i gitanti hanno anche trovato il tempo e le forze per schiamazzare nella notte, sia per le vie del paese che in albergo, come dal più scontato copione di gita scolastica.
Il giorno seguente, la domenica, il gruppo, recatosi sulle rive del torrente Vo, nel luogo dove si svolse il primo campo, costruito un rustico altare ed ornatolo di fiori, ha assistito e partecipato ad una suggestiva messa concelebrata dai due sacerdoti presenti.
E’ stato un momento molto intenso in cui si è resa più palese e palpabile una constatazione che in molti era sorta spontanea fin dai primi momenti, e cioè che nonostante il lungo tempo trascorso, le tante e diversificate vicende accadute, le separazioni intervenute, in tutti i presenti è rimasto un radicato senso di appartenenza ad una comune matrice ideale, una condivisa adesione ad uno stile di vita, ed una sensibilità accentuata ed ammirata verso il miracolo della natura e del creato, tutti quegli aspetti cioè che costituiscono quella miscellanea forte di sentimenti e di tensioni che solitamente sono sintetizzati nella espressione “spirito Scout”.
“Ci siamo ritrovati così come ci siamo lasciati, era come non ci fossimo mai separati e che il tempo non fosse mai trascorso”, è stato il commento di molti.
Nel pomeriggio del secondo giorno la comitiva si è cimentata in un’altra escursione, questa volta alla diga del Gleno. Un luogo molto suggestivo, dove troneggiano i resti imponenti di una diga che purtroppo non resse al peso dell’acqua e nella quale, nel 1923, si produsse uno squarcio attraverso cui si scaricò nei paesi della valle sottostante una enorme massa d’acqua che spazzò via tutto quanto trovò sulla sua strada e che provocò ben cinquecento vittime.
Un Vajont ante litteram a ricordo del quale rimangono oggi un piccolo laghetto e due tronconi della diga che, essendo costruita ad archi, ora assomiglia molto alle mura squarciate di una antica città.
Durante questa escursione il tempo, che straordinariamente, visto l’andamento dei giorni precedenti, ci aveva assistito fino ad allora, si è un po’ guastato, ma è stato per poco, quel tanto che serviva per mettere un po’ di sale o di pepe sull’avventura.
Il ritorno, dopo una breve merenda, la visita a Vilminore ed uno sguardo perplesso alla mensola in pietra posta sul fronte del suo palazzo di giustizia, sulla quale in tempi andati venivano esposte le teste dei briganti decapitati, si è volto fra canti, commenti e ricordi sul pullman magistralmente condotto da Franco Albonetti, anch’egli ex ragazzo di quei tempi.
Ha meravigliato tutti la straordinaria resistenza del nostro arciprete che ha voluto partecipare con successo sia alla escursione alla Manina, che a quella alla diga del Gleno.
Considerato ciò che gli era successo alcuni mesi fa, la cosa ha dell’incredibile. Ma questo nostro anziano parroco non ci starà prendendo un poco in giro?

Alessandro Righini
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