Nell’agosto del 2003 Massimo Galeotti, già intervistato parecchie volte da “Lo Spekki(ett)o” a proposito di diversi viaggi a scopo umanitario da lui effettuati, è partito, dopo un’accurata selezione, per la sua prima Missione con Medici Senza Frontiere, verso l’Angola.
Al suo ritorno lo abbiamo incontrato e, assieme alla responsabile della Missione di Mawinga, Angeles, ci siamo fatti raccontare la loro esperienza. Il materiale che pubblichiamo, una piccola parte dell’intervista, ci restituisce una immagine complessa sia della situazione angolana che del tipo di intervento messo in atto. Cosa che ci stimola a riflettere sulla necessità di conoscere a fondo tanto le situazioni contestuali locali, ed essere così in grado di interagirvi in modo collaborativi, quanto i legami e gli elementi esterni che vi interagiscono, spesso in modo tanto contorto quanto perverso, contribuendo a determinarle. Una conoscenza che trasfigurandosi in coscienza deve essere elemento imprescindibile per pensare qualsiasi tipo di intervento nei confronti di altre società.

L’Angola, esce da 27 anni di guerra che ha straziato la popolazione ed ha lasciato una grande quantità di mine anti uomo “seminate” in tutto il territorio. La Missione di MSF (Medici Senza Frontiere), quando nell’aprile del 2002, al termine del conflitto, si è recata in Angola per effettuare un sopraluogo, ha rilevato una situazione umanitaria disastrosa, ha così deciso di intervenire. Anche il Campo di Mawinga, dove eravamo noi, quando fu costruito ci si accorse che era situato sopra un campo minato, naturalmente allora non si sapeva!
La guerra in Angola vedeva schierate due fazioni: quella di Do Santos, comunista, spalleggiata dagli americani, e quella di Savimbi, socialista, appoggiata dai russi. Mawinga era diventato il quartier generale di Savimbi così tutti gli angolani che sostenevano costui si erano recati in questa zona, inoltre molti erano anche rifugiati nei paesi vicini, Zambia e Namibia. Nell’aprile del 2002 è cominciato il rimpatrio dei rifugiati alle loro case, quando siamo arrivati noi, nell’agosto del 2003 questa situazione era quasi del tutto normalizzata, tuttavia abbiamo constatato un generale malcontento a causa delle promesse non mantenute dal Governo di tornare a possedere le terre un tempo lasciate.

Come si è normalizzata la situazione dopo 27 anni di guerra?
Il Governo ha stipulato un accordo con i paesi confinanti, Namibia e Zambia, che ha permesso a tutti i rifugiati il rientro in Angola in maniera pacifica. Tuttavia è da ricordare che l’Angola è un paese molto ricco sia di petrolio che di diamanti, tutti controllati da multinazionali straniere… non c’è grande interesse economico di riportare uno stato di stabilità nel Paese, anzi, c’è maggiore interesse a continuare ad avere emergenze che fanno sì che organizzazioni internazionali come MSF continuino a rimanere là.

Spesso ci immaginiamo l’Africa come un continente che senza di “noi” non potrebbe sopravvivere: cosa ne pensate?
Per quanto riguarda l’Angola questo luogo comune è errato. Certo, potrebbero tranquillamente andare avanti senza di “noi”. Diverse Organizzazioni hanno ben presente questo, lo dimostra lo stesso programma di Medici Senza Frontiere che terminerà nel 2006, quando verrà lasciata la struttura al personale del posto e al Governo Angolano. Così come la compagnia inglese incaricata di togliere le mine e pulire più aree possibili per rendere il terreno agibile per la coltivazione… Sono tante le organizzazioni che nei loro programmi prevedono di lasciare, appena possibile, l’Angola proprio agli angolani.
E’ importante ricordare che l’Angola è il secondo paese più ricco dell’Africa, grazie ai giacimenti di petrolio e alle miniere di diamanti. Purtroppo, però, il fatto che gli americani e i russi durante la guerra “ci abbiano messo le mani” ha fatto si che la corruzione arrivasse ad un livello talmente alto da rendere problematico per gli stessi angolani una effettiva amministrazione economica e politica. Tutte le compagnie diamantifere e petrolifere dell’Angola sono in mano agli stranieri, non ce ne è neppure una angolana. Sono tutte di proprietari americani, francesi e sudafricani.
Quello che il governo guadagna nella vendita di diamanti non entra nelle casse dello Stato per poi essere reinvestiti nella ricostruzione ma vengono tutti intascati dai politici! Vorrei fare un altro esempio per far capire la situazione assurda di questo Paese: la moneta ufficiale c’è ma non vale niente e i commercianti accettano solo dollari americani. Se si vuole aiutare veramente questo paese africano basterebbe lasciare a loro la terra (tutta) nella quale vivono! Ma sappiamo tutti che per il momento questo non avverrà.

Veniamo a voi: parlateci della vostra missione e dei compiti che svolgevate a Mawinga…
Come abbiamo già detto la missione è cominciata nell’aprile del 2002. quando noi siamo arrivati ad agosto avevamo compiti ben precisi: supervisionare il lavoro che veniva svolto dal personale del posto che lavora nell’ospedale (circa 130 persone tra cuochi, autisti, guardie, ecc.) ed educare, a livello sanitario, la popolazione ad una corretto uso soprattutto dell’acqua.

Quali sono le emergenze sanitarie?
Nonostante l’Angola sia un Paese nel quale sono presenti un alto numero di mine, queste non rappresentano più un’emergenza grazie a coloro che compiono il lavoro di disinnescarle. La principale emergenza sanitaria è la malaria. C’è un’altissima percentuale di bambini che muoiono sotto i cinque anni a causa di essa. L’80% dei pazienti ricoverati nell’ospedale sono malati di malaria. Poi ci sono emergenze legate alle vie respiratorie, fibrosi, e diversi casi di TBC e qualche caso di meningite.

E l’AIDS?
Per il momento, fortunatamente, non si registrano molti casi di AIDS nell’Angola… Tuttavia la paura che si ha è quella che coloro che sono rimpatriati dagli altri paesi confinanti, abbiano contratto malattie che in Angola non sono molto diffuse, come l’Aids, appunto, e che si vengano a creare nuove emergenze sanitarie.

Come si svolgeva la vostra giornata tipo? Quali erano le priorità alle quali dovevate far fronte?
Innanzi tutto quando siamo partiti c’erano stati affidati questi obiettivi: mantenere basso il livello di mortalità, formazione, educazione con gli infermieri. Il nostro compito era quello di effettuare una campagna di sensibilizzazione dentro e fuori l’ospedale.
Noi vivevamo vicino all’ospedale. Ogni mattina ci si alzava, si andava all’ospedale, si controllava il lavoro degli operatori… una cosa molto importante da sottolineare è che la nostra missione non è di tipo “assistenzialista”, ma lo scopo, come tutte le Missioni di MSF, è quello di educare la popolazione, infatti il progetto di Mawinga prevede che entro il 2006 l’ospedale passi sotto la giurisdizione del Governo angolano.

E’ andato tutto secondo i piani? Avete qualche “frustrazione”?
A novembre del 2002, MSF a Mawinga, aveva iniziato una campagna di vaccinazione. Una jeep con 6 persone dentro è saltata su una mina e da allora non si ha più il permesso di andare fuori. La nostra campagna di sensibilizzazione, pertanto, si svolgeva esclusivamente dentro l’ospedale, e tante persone sono rimaste escluse…
Questo lavoro è molto duro ma vi sono anche molte soddisfazioni: per esempio pensiamo di aver fatto un buon lavoro e la gente che abbiamo incontrato ce lo ha fortemente dimostrato.

Avete avuto delle difficoltà con il personale del posto che lavorava nell’ospedale?
In generale no. Non sono molto organizzati ma non possiamo dire di avere avuto delle difficoltà. C’è tuttavia da sottolineare che la situazione di Mawinga è diversa rispetto alle altre missioni MSF che si trovano in Angola. A Mawinga tutti i dipendenti sono stipendiati da MSF, mentre nelle altre missioni metà dei dipendenti sono stipendiati da MSF e l’altra metà dal Governo. Questo crea uno squilibrio e anche un problema legato alla demotivazione anche solo ad andare a lavorare.

Massimo, a quando e dove la prossima missione?
Dovrei partire verso il 20 giugno. Non so ancora con precisione quale sarà la mia destinazione, ma comunque appena saprò qualcosa vi terrò informati!

E per te Angeles?
Io per un po’ di tempo mi fermerò, ho alcuni progetti che vorrei realizzare… Non so ancora se rimarrò con Medici Senza Frontiere… Vedremo!

Intervista a cura di Roberta Foschi e Andrea Benassi
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