Un secolo fa moriva Alfredo Oriani. Nel 1909 al Cardello si chiudeva la vita di uno degli intellettuali più complessi e sfuggenti dell’Italia post risorgimentale, voce pungente e spigolosa di un mondo culturale che non aveva trovato ancoraggio nell’impianto identitario della nuova Italia. Alfredo Oriani è stato fino in fondo “uomo del proprio tempo” ed in quest’ottica va analizzata la sua opera. Opera impegnativa sul piano quantitativo e qualitativo, che ha toccato i più diversi registri espressivi: il romanzo, il racconto, il teatro, la poesia, il saggio storico, il giornalismo.

La complessità umana e letteraria dell’autore indurrebbe a riflessioni articolate e attente per costruire un ricordo serio e scientifico, proverò invece a lanciare alcune riflessioni che non si rivolgono al mondo degli studiosi dell’Italia di fine ottocento, ma ad un pubblico che con Oriani condivide la comunità, il paesaggio umano e territoriale, Casola, la valle del Senio, la Romagna e per questo è attenta al “grande uomo del villaggio”. Così infatti Oriani è stato definito da Gaetano Salvemini, autorevole voce del primo novecento italiano, ed in questa definizione sta uno degli aspetti chiave da sottolineare. Oriani visse continuamente nella conflittualità tra le grandi aspirazioni nazionali e la realtà, ovvero, la vita quotidiana all’interno di un “castellaccio” posto all’interno di un piccolo villaggio. Il Cardello e Casola furono per lui sia rifugio sia prigione. Rifugio perché non condivideva l’idea d’Italia che stava formandosi, e l’isolamento era una sorta di distanza eroica da un sistema sbagliato, prigione perché era consapevole che questo isolamento non aveva alternative, nasceva dall’incomprensione reciproca che si costruiva tra Oriani e il mondo politico e culturale e della quale soffriva. L’opera narrativa non convinceva né pubblico né critica, mentre quella era la “sua dimensione”, quello era il luogo creativo nel quale credeva potesse svilupparsi al meglio la sua creatività. Anche sugli altri fronti le cose non andavano bene: in politica oscillava tra posizioni e candidature senza trovare ancoraggi, nel giornalismo procedeva a singhiozzo, tra articoli sparsi da una testata all’altra, senza la creazione di un progetto compiuto, il teatro e la poesia erano nicchie prive di forza. Solo i testi d’impianto storico, “Lotta politica in Italia”, “Fino a dogali” e “Rivolta ideale” ottennero una maggiore attenzione, non senza problemi però e soprattutto senza ripagarlo. Oriani riteneva di essere uno dei più grandi intellettuali italiani, ma la sua Italia non era dello stesso avviso. Lo fu invece Mussolini, che lesse queste incomprensioni come la dimostrazione che l’Italia era malata e doveva essere ricostruita ribaltando punti di vista e certezze. In questa ricostruzione un ruolo centrale era affidato ai simboli, ed Oriani divenne un simbolo: “grande poeta della nazione” lo definì il Duce, e così propose marce al Cardello, creazione di monumenti e istituzioni culturali, e ristampò l’opera omnia, l’opera completa dell’autore in trenta volumi, il primo dei quali aperto da una sua introduzione, che finì in tutte le biblioteche della nazione. Dentro questa dicotomia, incompresione/ esaltazione sta uno dei temi che ancora oggi ci chiedono attenzione. Oriani infatti fu uno dei primi intellettuali a raccontare con forza l'insanabilità della frattura tra 'cittadini e governanti', citando un noto volume di Mariuccia Salvati. Sul finire dell'ottocento emergono infatti crepe vistose tra la società e il sistema politico, e all'inizio del novecento su queste crepe nasce, prima nel mondo della cultura poi in quello sociale, il nazionalismo. In questo senso Oriani venne proposto dal fascismo come 'mito del precursore'. Oriani lesse il risorgimento e il percorso di unificazione del paese, con passione e lucidità e vide nel suo epilogo le radici dei mali del suo tempo. Il suo libro più importante 'La lotta politica in Italia', percorre la storia della pensiola arrivando a questa conclusione. E fu proprio così, la frattura tra le elite di governo e la nascente società di massa divenne immensa e il nazionalismo riuscì ad utilizzarla per divenire cultura dominante. Ovviamente Oriani giunse a questa tesi in modo tutt'altro che lineare e costruttivo, il suo percorso è stato caratterizzato da scontri appassionanti, da estremizzazioni alle volte irrazionali, da strappi non sempre comprensibili, ma la sua traccia rimase fondamentale. Oriani in questa direzione analizzò il problema della difficoltà di rapporto tra i cattolici e lo stato, tra il socialismo e l'ideologia, tra la nazionalizzazione delle masse e la nascita di una grande nazione, compatta e aperta alle sfide coloniali. Ancora oggi, se ci chiediamo che cosa è ancora attuale nella sua opera, questo tema pare prioritario. Certamente attuale non è la sua opera narrativa. Alfredo Oriani scrisse molti romanzi, in alcuni dei quali è presente Casola, con i suoi luoghi e i suoi personaggi, ma nessuno di questi pare distinguersi rispetto al clichè della narrativa che si sviluppò in quel tempo sospesa tra la fine del romanticismo e gli albori del naturalismo e il primo positivismo. Oriani amava la cultura francese dell'ottocento e molti suoi romanzi sono specchi provinciali di quella grande tradizione narrativa. Lo stesso vale per il teatro e per il suo volume poetico. Ben più attuale è stata la sua produzione storica, costruita negli ultimi decenni di vita, soprattutto in base a quanto accennato prima. La sua analisi della società non è scientifica ma è costruita a sbalzi di idee, anche se non mancano intuizioni lucide e immagini potenti. Da sottolineare il suo testo sul prete garibaldino 'Don Giovanni Verità', il testo 'colonialista', 'Fino a Dogali' e la 'Rivolta ideale', uscita nel 1906, uno dei testi madre della prolifica produzione intellettuale nazionalista. Ad un secolo dalla morte due mi sembrano però le parentesi più attuali dello scrittore casolano. La prima è il giornalismo. Oriani visse questa attività con diffidenza, poichè la riteneva inevitabile per motivi economici ( aveva bisogno di soldi) e perchè i giornali nei quali scriveva non lo esaltavano come scrittore. Ciò nonostante capì che i giornali avevano potenzialità incredibili nella divulgazione di idee e notizie anche se in quel tempo la cultura giornalistica non era ancora entrata nel cuore della società italiana. Così scrisse pezzi pungenti, attuali poichè aperti al dibattito, stimolatori di opinioni e confronti, costruiti attorno a poche idee, ma dirette e comunicative. L'altro grande tema di attualità è la bicicletta. Fu il primo casolano a salire sulle due ruote e questo contribuiva a creare il 'personaggio' anomalo rispetto al villaggio, e ben presto capì il ruolo che avrebbe avuto la bici per la libertà individuale. Ha scritto belle pagine su questa dimensione reale e simbolica della bicicletta e soprattutto ha scritto il racconto 'Sul pedale' uno degli anticipatori del genere di scrittura di viaggio legata alle due ruote. Nelle pagine infatti racconta, al ritmo cadenzato del diario, le immagini, il paesaggio umano e geografico, i segni dei tempi e delle tradizioni storiche, i volti e le tracce delle persone, in una forma precinematografica di grande impatto emotivo. In quegli anni si istituì il Touring club, proprio grazie all'impegno dei primi cicloamatori, che di fatto aveva nelle premesse proprio questa poetica e questa idea del viaggio inteso come incontro dei territori umani e naturalistici. Queste sono alcune idee a sbalzi che mi sembra caratterizzino alcune delle idee forti di Alfredo Oriani, cittadino casolano che ha vissuto con personalità in queste terre, in questa comunità. Comunità di analfabetismo diffuso, che provava curiosità verso 'E matt de Cardel', personaggio ben diverso dai casolani, che amava scrivere sui destini del mondo e che amava leggere le sue tesi nelle osterie casolane, tra decine di operai e contadini festanti, ai quali non imputava colpe per il proprio naufragio intellettuale. Casolani che amava aiutare, quando poteva, come testimonia un libro centrale per costruire il suo rapporto con Casola, 'Le lettere', curato dal faentino Pietro Zama. Casolani che quando partiva per le sue uscite in biciletta andavano al Cardello per ammirarlo stupiti, convinti che alla fine, dietro alla sua pazzia e la sua teatrale scontrosità, ci fosse un forte legame di tenerezza verso i suoi concittadini.



Massimo Isola
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