Il premio Nobel per la pace 2009 è stato assegnato a Barack Obama, persona degna e certamente impegnata per la pace.
Forse, però, il collegio di merito ha attribuito prematuramente questo riconoscimento: a giudizio di tanti, il premio conferito ad Obama è più un incoraggiamento ai propositi che un riconoscimento ai fatti.
Nonostante il freddo e lungo inverno nordico, oppure proprio per questo motivo, il popolo della penisola scandinava ha un cuore passionario che da sempre batte a sinistra. Non a caso, la Svezia, è considerata la patria della socialdemocrazia, conta poco se in questo momento il paese è governato da una coalizione liberaldemocratica… l’azione politica è praticamente identica a quella dei predecessori.

La commissione Nobel per la pace, non sfugge a questa tradizione. Inoltre, alcuni suoi componenti, non solo sono pacifisti (come ci si aspetta che sia) ma, per loro stessa dichiarazione, sono pacifisti assoluti. Con una tale prospettiva, viene da chiedersi se il collegio di merito abbia valutato integralmente i contenuti espressi da Obama in certi suoi discorsi… nell’entusiasmo generale, provocato dalla nomina del presidente americano, la commissione Nobel ha forse tralasciato piccoli ma significativi frammenti della linea politica annunciata dal leader americano.
A scanso di equivoci, serve segnalare che Barack Obama non è un pacifista assoluto: per esempio, nel discorso pronunciato nell’agosto 2007 al Woodrow W. Int. Center, ha parlato, in termini inequivocabili, di come ci si comporta con i regimi tirannici e dittatoriali: ricerca del compromesso (eventualmente chiudendo un occhio sui diritti umani) però senza escludere, come opzione estrema, l’ipotesi della guerra.

Gandhi non ha mai ricevuto il Nobel per la pace. Tuttavia, è opinione diffusa che, nessuno come lui avrebbe meritato questo premio, anche se, il pensiero “assoluto” del Mahatma… un po’ sconcerta.
Nel suo pacifismo incondizionato, intimamente legato al sentimento del coraggio, Gandhi ebbe modo di affermare:
“Il nazismo uccise cinque milioni di ebrei. È il più grande crimine dei nostri tempi. Ma gli ebrei avrebbero dovuto concedersi al coltello dei loro macellai, avrebbero dovuto gettarsi in mare dalle scogliere.“
Questo estremo nel pensiero di Gandhi vuole sottolineare come il coraggio sia fondamentale nella azione pacifista, inevitabilmente però, parole così forti hanno dato origine ad un accesa e, da anni, ininterrotta diatriba.
Da una parte coloro che, apprezzandone il senso filosofico, condividono integralmente lo spirito gandhiano.
Dall’altra parte coloro che, con pragmatismo, obbiettano:
chi è disposto al sacrificio della vita, pur di non ricorrere alla forza per difendersi dalla violenza, comunque non impedisce che questa si manifesti. Se poi la violenza è subita direttamente sulla propria pelle, la scelta coinvolge solo l’individuo… quando invece è diretta contro gli indifesi… beh… in tal caso subentra un fattore rilevante che legittima più di un dubbio circa la posizione di Gandhi. Anche se, come egli predica, questa “non azione” è supportata dal coraggio e non dalla codardia. L’aberrazione della codardia, da Gandhi più volte manifestata, diventa infatti irrilevante rispetto al fatto in sé, in quanto il risultato finale dell’azione violenta, purtroppo, è identico a quello determinato dal comportamento del codardo. In entrambi i casi manca giustizia.

“L’atto eroico” inteso da Gandhi accetta dunque, come conseguenza del non ricorso alla forza per difendersi, la violenza subita.
Pertanto, quando Gandhi afferma:
”Il mezzo deve essere coerente con il fine, non si può adottare un mezzo che porta alla negazione del fine”
dice una cosa formalmente logica. Si potrebbe però osservare che una tale affermazione è, anche, realisticamente incongruente: invero, agendo in accordo ad essa, non si impedisce la sofferenza provocata dall’atto violento, e si accetta la possibilità di una brutalità perdurante.
Di conseguenza, senza nulla togliere alla grandezza del personaggio, la teoria gandhiana ha un limite: porta ai risultati auspicati, se i protagonisti del conflitto sono il popolo indiano e la corona britannica, ma, di sicuro, è inattuabile nel caso della tragedia vissuta dal popolo ebraico a causa della follia nazista.

Albert Einstein considerava Gandhi “il più grande genio politico del nostro tempo”. Tuttavia, nei carteggi che ci ha lasciato si può leggere la seguente considerazione:
'L'uso della forza contro i nazisti fu necessario e giustificato'.
Ed ancora :
'non ho scritto che sono pacifista in assoluto ma sono stato sempre un convinto pacifista. Questo significa che ci sono circostanze in cui è necessario usare la forza, la circostanza si presenta quando c'è un nemico il cui scopo incondizionato è distruggere me e il mio popolo'.
Con questo, Einstein intende operare una netta distinzione tra forza e violenza: chiama a non confondere l’una con l’altra.
È infatti certo che violenza e arroganza, inevitabilmente, si esprimono con la forza. Non necessariamente è vero il contrario.

La forza per impedire un atto violento, può dunque essere giustificabile e, in alcuni casi (vedi olocausto), addirittura auspicabile…
Occorre però accompagnare l’atto con fermezza e misericordia, riconoscerne il limite. Sapere di camminare sopra una lastra di ghiaccio infida. Pericolosa.
Questo, è tutt’altro che semplice, quasi mai si riesce.
Ciò nonostante, a volte, accettare il rischio diventa inevitabile.

Ovviamente, ogni uomo sano di mente si augura di non giungere mai a tanto.

Pier Ugo Acerbi
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